Johanna Schopenhauer

Tra il 1820 e il 1830 Johanna Schopenhauer è stata la scrittrice più famosa della Germania, la prima ad aver pubblicato libri senza usare uno pseudonimo. Donna indipendente e persona di grande cultura, Johanna Schopenhauer ospitava nei suoi salotti grandi intellettuali dell’epoca: Wieland, i fratelli Schlegel e, soprattutto, Goethe.

Johanna Schopenhauer

Johanna Schopenhauer nacque a Danzica, che all’epoca faceva parte del Regno di Polonia, nel 1766. Dotata di grande intelligenza, a 10 anni sapeva, oltre al tedesco, il polacco, il francese e l’inglese.

A 18 anni si sposa con Heinrich Floris Schopenhauer, un ricco mercante che di anni ne aveva 38. Dal matrimonio sono nati i figli Arthur, nel 1788, e Adele, nel 1797.
L’amore non era ardente, come lei stessa scriverà, ma l’unione aveva permesso il risanamento delle finanze di famiglia.

Nel 1805, però, il marito si suicida e Johanna, con sua figlia, si trasferisce a Weimar. Il suo impegno verso i bisognosi e i soldati durante la guerra contro la Francia la renderanno popolare, mentre il suo salotto sarà frequentato da grandi intellettuali e artisti.

Nel frattempo, Arthur è rimasto ad Amburgo a studiare filosofia. Johanna Schopenhauer trovava il figlio particolarmente arrogante e non condivideva le sue tesi filosofiche. D’altra parte, Arthur considerava la madre frivola e superficiale e l’accusava di aver abbandonato il padre.

Nel 1804 Arthur si trasferisce a Weimar ma sceglie di non vivere con la madre. Dal 1814 i due non si vedranno più e si scriveranno solo per lettera. Anche quando avrà difficoltà economiche, Johanna rifiuterà l’aiuto economico da parte del figlio, preferendo rivolgersi al duca di Weimar che le assegnerà una pensione e la inviterà a Jena, dove morirà nel 1838. La figlia Adele sarà dichiarata sua unica erede.

A causa del successo del figlio e del suo disprezzo nei confronti della madre, Johanna Schopenhauer è stata spinta un cono d’ombra.  Tuttavia, rimane un personaggio innovativo. Nei suoi numerosi libri, infatti, Johanna Schopenhauer riflette la sua forza e la sua determinazione, con personaggi femminili che sfidano il patriarcato, sapendo che la ribellione richiede sacrificio e che ha un costo.

 

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Alessandro Volta

Alessandro Volta - 10000 lire

Alessandro Volta è nato nel 1745 a Como e fin da giovane la sua grande passione è l’elettricità. Diventa presto professore di fisica e, mentre studia la chimica dei gas, scopre il metano e suggerisce di usarlo per illuminare.
Questa scoperta lo rende famoso a livello internazionale e gli porta numerosi riconoscimenti ma gli studi di Volta proseguono e lo scienziato arriva a costruire la prima pila elettrica.
La pila elettrica di Volta si basa sull’idea che mettendo vicini due metalli conduttori si può ottenere una differenza di potenziale elettrico. Ecco perché oggi a livello internazionale la differenza di potenziale elettrico viene indicata con il termine Volt.
Alessandro Volta scompare nel 1827.
Per molti anni il suo viso è stato quello che guardava gli italiani dalla banconota da 10.000 lire.

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Franca Viola

Franca Viola

Franca Viola, ancora oggi vivente, è uno dei simboli dei cambiamenti civili dell’Italia del secondo dopoguerra. Franca Viola, infatti, è stata la prima donna a rifiutare il matrimonio riparatore e a contribuire all’emancipazione delle donne.
A 17 anni Franca Viola viene rapita e violentata dal nipote di un mafioso che chiede in seguito alla famiglia di fare un matrimonio riparatore. Il matrimonio riparatore è il matrimonio che si celebra dopo una violenza sessuale. In questo modo, secondo la legge italiana di quegli anni, l’uomo è considerato innocente.
Franca Viola, però, si oppone a questo matrimonio e denuncia il ragazzo alla polizia affrontando il lungo processo e lo scandalo che segue. Il ragazzo viene giudicato colpevole e condannato a 10 anni di carcere. Inoltre dal dibattito nato dalla sua storia si arriva alla cancellazione della legge sul matrimonio riparatore nel 1981. Solo nel 1996, però, l’Italia riconosce lo stupro come crimine contro la persona e non più contro la morale.
Per questo suo gesto coraggioso, Franca Viola è stata ricevuta dal papa Paolo VI, dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e ha ricevuto l’onoreficenza di Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana dal presidente Giorgio Napolitano.
Parlando del suo coraggio, Franca Viola ha detto:

«Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé».

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Ondina Valla

Ondina Valla sembra un nome inventato da Gabriele D’Annunzio, tanto è efficace nel descrivere un movimento rapido e armonioso, come quello di un’onda. Ma non è così: in realtà il nome era ancora più strano, perché si chiamava Trebisonda Valla, dal nome italiano della città turca di Trabzon, di cui il padre aveva immaginato bellezze e magnificenze pur non essendoci mai stato. Da qui il diminutivo Ondina.

Ondina Valla

Nata nel 1916 a Bologna, fin dall’età di 13 anni ha cominciato a dimostrare un’eccezionale bravura nello sport, in particolare nella corsa veloce e nei salti, rivaleggiando con un’altra sportiva bolognese, Claudia Testoni.

Il suo è un caso molto particolare, perché, in un’Italia in cui il regime fascista non offriva alle donne un ruolo pubblico visibile, Ondina Valla è riuscita a imporsi come campionessa e a competere per l’Italia, donando gloria e successi anche allo stesso fascismo. Il momento del trionfo per Ondina Valla sono state le Olimpiadi di Berlino del 1936, quelle di Leni Riefenstahl e di Jesse Owens per intenderci, organizzate da un regime nazista in cerca di prestigio internazionale. Ondina ha vinto la corsa degli 80 metri a ostacoli con un tempo di 11 secondi e 7, superando di un soffio la tedesca Anni Steuer. E’ la prima medaglia d’oro femminile nella storia dell’Italia olimpica.

Ondina Valla si è spenta nel 2006.

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Alfonsina Strada

Alfonsina Strada

La storia di Alfonsina Strada è la storia di una donna molto determinata. Alfonsina nasce nel 1891 in una famiglia molto povera, nella campagna dell’Emilia Romagna. Grazie ad un pizzico di fortuna, la famiglia riceve una vecchia bicicletta e Alfonsina, che rimane affascinata da questo mezzo, comincia subito a utilizzarlo e a organizzare alcune gare con gli amici.
Si sposa molto giovane con Luigi Strada e con lui si trasferisce prima a Milano e poi a Torino dove viene presto considerata la migliore ciclista italiana, superando nel 1911 anche il record mondiale di velocità femminile.
Durante la Prima Guerra Mondiale si iscrive al Giro di Lombardia, una corsa in bicicletta dove normalmente partecipano solo uomini, qualificandosi prima di molti altri. Nel 1924, infine, riesce a partecipare alla prestigiosa gara del Giro d’Italia, anche se durante la corsa viene esclusa dalla classifica.
La sua determinazione e la sua passione l’hanno resa celebre e un esempio per tutti quelli che vogliono seguire la propria passione.

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Elsa Schiaparelli

Elsa Schiaparelli

Elsa Schiaparelli nasce a Roma nel 1890 da una famiglia aristocratica e intellettuale del Piemonte. La famiglia Schiaparelli può contare celebri astronomi, archeologi, paleografi e lo stesso padre di Elsa è professore di lingua e letteratura araba all’Università di Roma.
Avendo un animo vivace e non potendo fare l’attrice perché considerato un mestiere povero, Elsa Schiaparelli pubblica un libro di poesie che le costa il trasferimento in un convento svizzero. In seguito si trasferisce a Londra e poi a New York dove sposa un conte che subito dopo lascia, restando sola con la figlia malata di poliomielite.
A New York però entra in contatto con l’ambiente surrealista e dadaista: Man Ray e Michel Duchamp soprattutto.
Nel 1922 si trasferisce a Parigi e qui rimane affascinata dal mondo della moda. Le sue prime creazioni avvengono nel suo appartamento, per poi investire in un vero e proprio atelier.
I suoi abiti sono in grado sia di rivolgersi al grande pubblico, sia di presentarsi come vere e proprie creazioni surrealiste. Celebri sono il suo cappello-scarpa, disegnato da Salvador Dalì, abiti in vetro e vestiti in rosa-shocking, il colore inventato dalla stessa Schiaparelli.
Contrapposta più volte alla stilista Coco Chanel, Elsa Schiaparelli ne ha sempre condiviso l’immagine di donna indipendente e libera. E nel suo caso anche artista.

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Carlo e Nello Rosselli

Carlo e Nello Rosselli

Carlo e Nello Rosselli sono stati due esponenti del socialismo italiano. Nati nel 1899 (Carlo) e nel 1900 (Nello), hanno rappresentato per il socialismo una risorsa di grande importanza, perché, con anticipo di alcuni decenni rispetto all’evoluzione del socialismo europeo, hanno prefigurato un modello di socialismo non marxista, ispirato al laburismo inglese, che tenesse conto dei principi e delle regole della democrazia liberale. Carlo Rosselli scrisse queste idee nel suo libro Socialismo liberale, scritto durante il confino a Lipari, cui fu costretto dal fascismo. Notevole fu il rapporto dei due fratelli con alcune delle figure più illuminate della sinistra italiana, da Piero Calamandrei a Gaetano Salvemini, da Ferruccio Parri a Sandro Pertini, da Ernesto Rossi a Filippo Turati. Perseguitati dal fascismo, riuscirono a fuggire a Parigi, dove viveva una colonia di espatriati italiani che fondò il movimento di Giustizia e Libertà: Carlo vi giunse nel 1929, Nello nel 1937. Il 9 giugno del 1937, Carlo e Nello Rosselli furono assassinati da alcuni militanti della Cagoule, il movimento fascista francese, su probabile mandato dei servizi segreti italiani.

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Anna Piaggi

Anna Piaggi

Anna Piaggi nasce a Milano nel 1931. Inizia la sua carriera come traduttrice di romanzi e interprete per poi dedicarsi sempre di più alla moda. Il suo matrimonio con il celebre fotografo della moda, Alfa Castaldi, e la collaborazione con lui la portano al centro di quel mondo che non aveva ancora l’importanza che ha oggi.
Grazie alla sua grande conoscenza della storia della moda, alla sua preparazione e alla sua abilità espositiva, Anna Piaggi definisce e forma il mestiere della redattrice di moda.
Con lei acquista forza ed espressione quello che viene conosciuto come Made in Italy, e sempre lei è la prima ad aprire le porte al vintage, prima ancora che nascesse questo concetto. Infatti Anna Piaggi è stata una collezionista di vestiti, arrivando a possedere migliaia di abiti, scarpe e cappelli che includevano capi d’abbigliamento degli ultimi 200 anni. Come ha scritto una volta: “spendo meno a vestirmi nelle case d’asta italiane che nelle grandi maison di Parigi”.

Ma non si limita a scrivere e collezionare, Anna Piaggi incarna la moda. Con i suoi capelli blu, il trucco bianco con le gote macchiate di rosso, il contorno occhi azzurro o nero, le labbra rosse, abiti stravaganti e cappelli eccentrici, diventa un oracolo vivente della moda, in grado di dare visibilità, linguaggio e ispirazione a molti esperti del settore. Interprete e autrice dei tempi, musa e artista per molti stilisti.

Oltre ai suoi migliaia di editoriali scritti in più di 50 anni di carriera, in vita ad Anna Piaggi vengono dedicati libri e mostre in tutto il mondo.
Una volta le hanno chiesto quale altra carriera avrebbe potuto seguire, e prontamente Anna Piaggi ha risposto: “Un nuovo tipo di regina. E’ la teoria della regalità che sogno. Amo l’atmosfera, gli abiti… non mi interessano i soldi, solo lo stile e il potere. La mia natura è sempre stata attratta dal superficiale”.

Anna Piaggi muore a Milano nel 2012.

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Vincenzo Peruggia

Vincenzo Peruggia

Nato a Dumenza, in provincia di Varese, nel 1881, Vincenzo Peruggia fu un decoratore emigrato in Francia. Partecipò al Louvre ai lavori di sistemazione della teca di vetro della Gioconda, il celebre quadro di Leonardo da Vinci. La notte tra il 20 e il 21 agosto 1911, Peruggia riuscì nella rocambolesca impresa di rubare il dipinto, per poi portarlo a Firenze. Del furto furono accusati Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso, oltre al nemico storico della Francia, il Reich tedesco.

La Gioconda - Leonardo Da Vinci

La Gioconda fu ritrovata dai carabinieri italiani nel 1913 e Peruggia, arrestato, dichiarò di averlo fatto per restituire l’opera all’Italia: disse anche che il quadro era stato rubato da Napoleone, fatto non vero, dato che la Gioconda era stata venduta dallo stesso Leonardo al re Francesco I. Il governo italiano volle restituire il capolavoro alla Francia, nel quadro delle ottime relazioni tra i due paesi. Parigi consentì che l’opera fosse esposta per qualche tempo a Firenze e a Roma prima di tornare al Louvre. Peruggia, appoggiato dall’opinione pubblica italiana che interpretò il furto in chiave patriottica, ottenne una pena modesta. Uscito dal carcere, l’uomo partecipò alla Prima Guerra Mondiale e poi tornò in Francia, dove morì nel 1925.

Il furto della Gioconda alimentò la leggenda intorno all’opera e ne aumentò l’attenzione del pubblico internazionale all’inizio del XX secolo.

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Giorgio Perlasca

Giorgio Perlasca

Tra i Giusti di Yad Vashem a Gerusalemme c’è il nome di un uomo, Giorgio Perlasca, la cui storia si conosce quasi per caso. Nato nel 1910, partecipa come tanti italiani alle vicende del fascismo, aderendo anche alle guerre  di Mussolini (in Africa Orientale, in Spagna per aiutare Francisco Franco), ma nel 1938 rimane deluso dal regime e dalle sue “leggi razziali“, iniziando ad allontanarsi dal fascismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, va a Budapest, come diplomatico. Caduto il regime fascista italiano nel 1943, dopo la presa del potere in Ungheria da parte dei nazisti ungheresi nel 1944, Perlasca si nasconde nell’Ambasciata spagnola (per la neutralità di Madrid nella guerra), dove inizia a collaborare con l’ambasciatore. Si finge anche lui spagnolo e, sotto falso nome, (Jorge Perlasca) comincia ad aiutare molti ebrei ungheresi a fuggire dai nazisti e a salvarsi dallo sterminio. Quando l’ambasciatore spagnolo scappa da Budapest per non dover riconoscere il nuovo governo dei nazisti ungheresi, Perlasca ne prende il posto e porta avanti coraggiose e pericolose operazioni per salvare migliaia di ebrei, producendo documenti falsi e dando da mangiare a numerosi fuggitivi, nascondendoli dalle SS.

Finita la guerra, Giorgio Perlasca torna a condurre la vita di prima, senza raccontare, nemmeno ai suoi famigliari, quel che ha fatto in Ungheria. La sua storia viene alla luce quando un gruppo di donne ebree ungheresi, alla fine degli anni ottanta, cerca notizie di quest’uomo, scoprendo che è italiano e, infine, raggiungendolo a Padova, dove vive, per ringraziarlo. Perlasca è scomparso nel 1992.

 

 

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