Plotino, una delle figure preminenti del neoplatonismo, ha segnato un punto di svolta significativo nella filosofia antica, fungendo da ponte tra il pensiero classico e quello che sarebbe diventato la filosofia medievale.

Plotino, una delle figure preminenti del neoplatonismo, ha segnato un punto di svolta significativo nella filosofia antica, fungendo da ponte tra il pensiero classico e quello che sarebbe diventato la filosofia medievale.
Nella filosofia antica, lo scetticismo è una corrente di pensiero che suggerisce di affrontare la conoscenza con prudenza e riflessione, mettendo in discussione le asserzioni delle altre correnti filosofiche dominanti dell’epoca. Questa filosofia sostiene che gli esseri umani non possono raggiungere una comprensione assoluta della realtà e che il vero segno di saggezza è accettare questa limitazione.
Osservando diverse filosofie che si contrappongono tra loro, ognuna delle quali afferma di detenere la verità assoluta sull’universo e di offrire un percorso verso la felicità e la pace interiore, gli scettici hanno concluso che il modo migliore per trovare la serenità mentale è attraverso una ricerca che identifica le mancanze e gli errori in tutte queste teorie. Da ciò deriva il termine “scetticismo”, che proviene dalla parola greca “sképsis”, che significa “indagine” o “ricerca”. Secondo questa corrente di pensiero, la tranquillità interiore non si ottiene aderendo a una determinata teoria filosofica, ma evitando di accettare ciecamente qualsiasi teoria.
Come altre correnti filosofiche dell’epoca ellenistica, lo scetticismo vede la filosofia come uno strumento pratico, più che una semplice riflessione teorica. L’obiettivo principale è raggiungere una sorta di serenità mentale, vista come una forma di terapia per la mente e per la vita in generale. In tale ottica, la filosofia scettica si posiziona come una critica consapevole alle affermazioni infondate e dogmatiche, proponendo un rifiuto del dogmatismo. In altre parole, lo scetticismo promuove l’idea che la vera pace interiore può essere raggiunta solo attraverso la consapevolezza delle limitazioni delle affermazioni dogmatiche e, quindi, attraverso la rinuncia a tali affermazioni.
Lo scetticismo, nel corso del tempo, è stato semplificato e a volte male interpretato come una dottrina che nega la verità di tutto ciò che esiste, e di conseguenza, respinge ogni norma di comportamento, finendo per contraddire se stesso. Tuttavia, in realtà, gli scettici non rifiutano l’esistenza dei fenomeni in sé, ma piuttosto le teorie assolute che cercano di spiegarli. Sostengono che, mentre i fenomeni esistono, non ci possono essere interpretazioni definitive e assolute su di essi. In questo senso, lo scetticismo greco non si presenta come una credenza inconfutabile, ma piuttosto come una proposta che richiede una continua verifica attraverso un’indagine aperta e non conclusiva.
Lo stoicismo è una scuola filosofica sorta nel III secolo a.C., che ha trovato le sue radici nell’antica Grecia per poi diffondersi in modo capillare nel mondo romano. La scuola stoica ebbe origine ad Atene, fondata da Zenone di Cizio nel 300 a.C., e si sviluppò in tre diverse fasi: lo Stoicismo antico, medio e tardo. Oltre a Zenone, altri filosofi di spicco che contribuirono in maniera significativa allo sviluppo di questa corrente furono Crisippo, che ne sistematizzò la dottrina, e Seneca, Epitteto e Marco Aurelio, rappresentanti dello stoicismo romano, che ne promossero la diffusione in epoca imperiale.
Il nucleo centrale della filosofia stoica ruota attorno al concetto di “logos”, inteso come ordine razionale che governa l’universo. Gli stoici sostenevano che, conformandosi a questo ordine universale, l’individuo potesse raggiungere la virtù e, di conseguenza, la felicità.
L’epicureismo, corrente filosofica guidata dai precetti di Epicuro, trova le sue fondamenta nell’aspirazione a una vita serena e felice, caratterizzata dalla tranquillità dell’animo e dalla limitazione dei desideri superflui.
La scuola cinica, fondata da Antistene di Atene nel IV secolo a.C., introduce una forma di filosofia radicalmente distinta, connotata da una ferma opposizione alle norme sociali convenzionali e una profonda dedizione a una vita naturale e semplice. Il termine “cinico” deriva dal greco “kynikos”, che significa “simile a un cane”, riflettendo l’approccio quasi bestiale alla vita adottato dai seguaci di questa filosofia.
I cinici concepivano la filosofia non tanto come un insieme di teorie astratte, ma piuttosto come una guida pratica per vivere una vita veramente virtuosa. Essi ritenevano che la vera causa della sofferenza umana fosse l’incessante ricerca di beni materiali e il tentativo di evitare ciò che si percepisce come male. Sostenevano che queste percezioni di bene e male fossero in realtà relative e, in un certo senso, illusorie.
Promuovevano quindi un approccio alla vita privo di giudizi di valore, in cui non si dà eccessiva importanza alle distinzioni materiali o sociali, favorendo invece una pace interiore derivante dal riconoscimento che, in ultima analisi, “una cosa vale l’altra”.
La filosofia cinica si distingue per la sua netta opposizione non solo alle pratiche della popolazione generale ma anche alle abitudini di altri filosofi contemporanei. Mentre alcuni filosofi conducevano vite semplici e ritirate o dedicavano il loro tempo alla ricerca scientifica, i cinici respingevano completamente le convenzioni sociali.
Praticando una sorta di impudenza deliberata, trascuravano le norme comportamentali generalmente accettate, come la pulizia e l’educazione, e vivevano una vita nomade e indipendente, liberi dalle restrizioni imposte dalla società. Consideravano il denaro e il lusso come corrotti e inutili, e non cercavano stabilità o accettazione sociale, ma aspiravano a una libertà e indipendenza autentiche.
Al centro della filosofia cinica vi è una dedizione assoluta alla libertà individuale e al rifiuto di ogni forma di vanità e lusso. I cinici vedevano lo stato naturale dell’uomo, osservabile nei bambini o negli animali, come una forma di esistenza superiore rispetto alla vita regolata dalle convenzioni sociali.
Perciò, sceglievano di vivere in armonia con la natura, evitando le trappole della civilizzazione. Consideravano la filosofia non solo come una riflessione teorica, ma anche come un esercizio pratico e costante, una sorta di allenamento volto a fortificare sia il corpo che lo spirito, favorendo così una pace interiore autentica e duratura.
Il movimento cinico, radicato nelle strade e nelle piazze di una Grecia in fervente attività intellettuale, presenta una natura straordinariamente irriverente e dissacrante rispetto ai valori e alle norme istituzionalizzate dell’epoca.
La scuola cinica prende le sue radici dagli insegnamenti di Antistene di Atene, figura considerata da molti come il fondatore di questa corrente, benché vi sia una discussione sull’effettiva attribuzione di questo titolo. Indubbiamente, Antistene è stato un discepolo di grande rilievo di Socrate, dal quale ereditò una visione della filosofia profondamente ancorata alla virtù. Secondo Antistene, la virtù costituisce il bene supremo, mentre tutto ciò che la società tende comunemente a categorizzare come “bene”, inclusi il piacere e le altre gratificazioni corporee, rappresentano un male, un tranello che distoglie l’uomo dalla vera natura delle cose. Egli non concedeva spazio ad altre realtà se non quella corporea, una presa di posizione radicale che lo pone come uno dei precursori del movimento cinico.
Diogene di Sinope è indubbiamente la figura più iconica di questa scuola di pensiero, un uomo la cui filosofia non rimaneva confinata ai trattati, ma permeava ogni aspetto della sua vita quotidiana. Era noto per aggirarsi per le strade con una lanterna, giorno e notte, affermando: «cerco l’uomo », un simbolo della sua incessante ricerca della verità e della natura umana. Platone, un altro celebre filosofo dell’epoca, lo aveva definito come un “Socrate impazzito”, evidenziando il suo approccio estremo e quasi fanatizzato nei confronti della filosofia socratica.
Il comportamento di Diogene rappresentava una sfida diretta alle convenzioni sociali e alle istituzioni del suo tempo. A differenza di Socrate, che pur provocando le persone a riflettere manteneva un certo rispetto verso le istituzioni, Diogene mostrava una totale indifferenza e disprezzo per il mondo convenzionale, vivendo in modo ascetico e rinunciando a ogni comfort e lusso.
Pirrone, un contemporaneo di Diogene, è altresì una figura centrale nel panorama cinico. Notabile per il suo comportamento imprevedibile e la sua totale indifferenza nei confronti del mondo circostante, Pirrone incarnava un’etica di distacco assoluto. Questa indifferenza, che permeava ogni aspetto della sua vita, era talmente radicale da non fare distinzione alcuna tra piacere e dolore, vita e morte. La sua filosofia, tradotta in comportamento quotidiano, diveniva una sorta di prova vivente della possibilità di un’esistenza libera dalle costrizioni emotive e sociali dell’umanità.
La congettura secondo cui Gesù di Nazareth potrebbe essere stato influenzato dalla scuola cinica o addirittura essere stato un filosofo cinico è un tema dibattuto che attraversa vari ambiti della ricerca storico-filosofica e teologica. Per analizzare tale questione, è opportuno focalizzarsi su alcuni elementi chiave che delineano la figura di Gesù e che mostrano delle somiglianze e delle differenze con le dottrine ciniche.
La vita di Gesù di Nazareth è stata caratterizzata da una marcata semplicità e da una chiara rinuncia ai beni materiali, un tratto che condivide con la filosofia cinica, la quale promuoveva un ritorno alla vita semplice, libera dalle sovrastrutture e dalle illusioni generate dai beni materiali. Inoltre, Gesù nel suo insegnamento non ha esitato a criticare apertamente le convenzioni sociali e le ipocrisie dell’epoca, un comportamento che trova paralleli con l’atteggiamento irriverente e critico dei filosofi cinici nei confronti della società. Infine, sia i cinici che Gesù ponevano un’enfasi significativa sulla virtù morale e sull’integrità personale come via per raggiungere un bene superiore. Nel caso di Gesù, questo bene è spesso identificato con il regno di Dio, una realtà in cui regnano la giustizia e la rettitudine morale.
Nonostante le similitudini, tuttavia, è importante sottolineare anche le divergenze significative tra la figura di Gesù e quella dei cinici. Mentre i cinici mantenevano una posizione più materialista, negando o mettendo in discussione l’esistenza del divino, Gesù predicava l’esistenza di un Dio personale, fondamento della moralità e della vita stessa. Anche se sia Gesù che i cinici utilizzavano un metodo dialettico incisivo per stimolare la riflessione nei loro interlocutori, il messaggio di Gesù aveva una profondità e una portata universale, cercando di instaurare un regno di amore e di giustizia, ben lontano dalla radicalità cinica che spesso rasentava il nichilismo.
Dopo Aristotele la filosofia cambia radicalmente, soprattutto a causa del contesto storico-politico e delle sue conseguenze in ambito culturale. La diffusione dell’ellenismo e l’ascesa di Roma segneranno una grande rivoluzione in campo filosofico.
L’era ellenistica, cronologicamente compresa tra il 323 a.C. (anno della morte di Alessandro Magno) e il 31 a.C. (data della battaglia di Azio), segna un periodo di profonde trasformazioni nel panorama geopolitico dell’antico mondo mediterraneo. Il vasto impero creato dalle conquiste di Alessandro si frammenta in vari regni ellenistici, tra cui spiccano la Macedonia e l’Egitto, governati da monarchie di tipo assolutistico ed orientaleggiante. In questo contesto, la polis, nucleo vitale della cultura classica greca, perde la sua centralità, cedendo il passo a un’organizzazione politica in cui il cittadino libero e attivo viene sostituito dalla figura del suddito, assoggettato a un potere centralizzato e assoluto.
Si afferma un uso generalizzato della lingua greca (koinè = una lingua comune che si sovrappone ai dialetti locali) e quindi c’è un’ampia circolazione di opere e intellettuali. Nel fervente ambiente culturale ellenistico, assistiamo a un marcato trasferimento dell’attenzione dalla comunicazione orale alla scrittura. Il libro guadagna un posto di preminenza, dando impulso allo sviluppo di biblioteche e istituti di ricerca designati come “musei”, termine derivato da “mouséion”, che indica il tempio delle Muse. Il mecenatismo dei sovrani stimola e nutre l’intellettualità, facendo emergere la figura dell’intellettuale professionista, dedito all’approfondimento e alla disseminazione del sapere, ora suddiviso in diverse branche specializzate. Si assiste, quindi, a una separazione tra scienza e filosofia, ognuna con aree di competenza ben delineate e con centri di ricerca distinti, come Atene e Alessandria d’Egitto.
Sotto l’egida dell’impero, l’ellenismo promuove una visione cosmopolita, segnata da un universalismo che travalica i confini delle singole città-stato greche. Questo fenomeno incarna una sorta di “messaggio di salvezza”, portato avanti dalle diverse scuole filosofiche che, non limitandosi più all’ambito cittadino, mirano a indirizzare l’intera umanità conosciuta. Questa apertura verso l’universalità costituisce un importante tratto distintivo della filosofia ellenistica, contraddistinta da un forte grado di cosmopolitismo.
In questo clima culturale fertile, la filosofia ellenistica prospera, divenendo un mezzo per valorizzare una nuova immagine di civiltà e quotidianità. Le classi sociali elevate trovano nella filosofia una risorsa preziosa, uno strumento capace di offrire soluzioni ai problemi esistenziali quotidiani, agendo come una forma di terapia mentale volta a indicare percorsi verso la serenità e la felicità.
Il filosofo, in questa era, assume una veste quasi sacerdotale, offrendo consolazione e orientamento nella ricerca della salvezza personale. Le diverse scuole filosofiche – cinica, stoica, epicurea e scettica – delineano percorsi distinti di liberazione da convenzioni sociali, false credenze e timori irrazionali. Questi maestri di saggezza sollecitano una adesione totale e incondizionata alle loro dottrine, proponendo un modello di vita che aspira all’elevazione morale e spirituale.
Parallelamente, si deve menzionare l’ascesa di Roma, una potenza in rapida espansione che, pur essendo inizialmente estranea a questo contesto, inizia ad assimilare e integrare elementi della cultura ellenistica, soprattutto nel campo della filosofia e delle arti. Questa fusione culturale facilita l’irradiazione del pensiero ellenistico in un contesto più ampio, arricchendo la tradizione intellettuale romana e contribuendo a forgiare la cultura del mondo antico in un modo che avrebbe lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’umanità.
Aristotele, discepolo di Platone e precettore di Alessandro Magno, è un colosso della filosofia antica. La sua eredità si estende attraverso diverse discipline, dalla logica all’etica, dalla politica alla metafisica.
Ecco un decalogo ispirato alla filosofia di Aristotele su come vivere bene:
Ogni epoca ha le sue sfide, ma Platone ci ricorda che le verità fondamentali dell’esistenza umana restano costanti. A oltre duemilacinquecento anni dalla sua morte, le sue idee continuano a offrire ispirazione e saggezza. Non importa se viviamo nell’era digitale o se ci troviamo alle prese con dilemmi inediti; la filosofia platonica, con la sua indagine rigorosa sulla natura della realtà, sull’etica, e sull’anima umana, rimane eternamente pertinente.
Vengono qui proposte 10 regole per vivere bene che possiamo ricavare dalla filosofia di Platone.
Platone, nato nelle inquietudini della Grecia antica, discepolo di Socrate e maestro di Aristotele, sfidò la percezione della realtà stessa. Nelle sue opere, l’ombra fugace del mondo sensibile è surclassata dalle forme eternamente perfette, concezioni astratte di verità, bellezza e bontà. Fondatore dell’Accademia, dove la filosofia e le scienze si unirono in un dialogo incessante, la sua eredità è un microcosmo di sapere antico.