Hannah Arendt

Le origini del totalitarismo

Il testo con cui Arendt diventa celebre è Le origini del totalitarismo. Il libro, apparso all’indomani della Seconda guerra mondiale e in piena guerra fredda, è una delle più importanti opere storico-politiche del Novecento. Il manoscritto, già ultimato nell’autunno del 1949, esce in prima edizione nel 1951. 

In quest’opera sono analizzate le cause e il funzionamento dei regimi totalitari, che sono visti come una conseguenza della società di massa.
Le tre domande che Arendt si pone nella prefazione sono: Che cosa succedeva? Perché succedeva? Come era potuto succedere?
Il testo si divide in tre parti:
Analisi dell’antisemitismo
Analisi dell’imperialismo e della società di massa
Analisi dei caratteri del totalitarismo nella società di massa

L’antisemitismo

Il primo capitolo di “Le origini del totalitarismo” di Arendt esplora il motivo per cui gli ebrei sono stati utilizzati come capri espiatori. Arendt sostiene che gli ebrei sono innocenti poiché non c’è alcuna connessione tra il perseguitato e il perseguitante, poiché il perseguitato non agisce contro il potere. Nella società europea del 1933, gli ebrei erano diventati “superflui” e avevano perso significato rispetto al loro ruolo di ceto importante nella società europea. Nella storia, l’odio si scatena verso coloro che non sono più potenti, verso i decaduti.

Le cause di questa superfluità sono legate ai ruoli e alle posizioni degli ebrei nella struttura di classe: né operai né capitalisti, gli ebrei si erano costituiti come gruppo a sé stante. Gli ebrei del XIX secolo si caratterizzavano per la loro posizione economica e politica. Essi non si assimilavano a nessuna delle classi fondamentali, dal punto di vista economico-sociale, rimanendo un “popolo” staccato dagli altri. Gli ebrei non si identificavano con le identità politiche degli stati in cui appartenevano e fornivano prestiti. Questa situazione va in crisi in due punti: quando gli ebrei passano al campo fiscale e quando lo stato nazionale entra in crisi.

Adolf Hitler

L’imperialismo e la società di massa

L’ascesa della borghesia

L’imperialismo si verifica alla fine del XIX secolo e rappresenta l’avventura globale degli europei. In questo periodo storico vengono gettate le basi del totalitarismo: è un momento di rottura, quasi totale. Arendt sostiene che l’imperialismo è l’epoca dell’emancipazione politica della borghesia. Il nazismo si presenterà come l’alleanza tra borghesia e plebe, la borghesia sperava di controllare la situazione, ma il potere si ritorce contro di essa.

Dopo la Rivoluzione francese, il conflitto tra le classi si svolgeva in un terreno neutrale. Lo stato nazionale era un terreno neutrale, un terreno politico, espressione di una classe dirigente liberale. Questa situazione cambia. Il confine dello stato nazionale non è più sufficiente per la borghesia. La borghesia deve cercare nuovi mercati e viola la mentalità dello stato nazionale. La borghesia trasferisce la propria ideologia allo stato. La borghesia dà una spinta alla propria ideologia, l’ideologia della libera concorrenza diventa un principio politico. La borghesia diventa classe dominante contro la propria natura.

Lenin

L’affermazione dell’imperialismo: confronto Lenin e Arendt

In L’imperialismo come fase suprema del capitalismo, Lenin sostiene che l’imperialismo è un passaggio evolutivo nella storia della società capitalistica, in cui la borghesia abbandona l’ideale della libera concorrenza e inizia a creare monopolio. Tutti i capitali si concentrano in trust, il capitale bancario e quello industriale si fondono e danno origine al capitale finanziario, creando una sorta di globalizzazione.

Arendt, invece, sostiene che l’imperialismo non è l’ultima fase del capitalismo. A differenza di Lenin, per Arendt, l’idea della libera concorrenza non muore, ma è ciò che la borghesia porta con sé nel campo politico. In questa rottura, lo stato nazionale cessa di essere neutrale e viene diretto da una classe economica. La prima conseguenza di questa rottura della borghesia, in cui la logica del diritto viene piegata dalla logica dell’utilità, è che viene introdotta la logica della conquista, che è in contrasto con la fisionomia dello stato nazionale.

Il razzismo

Il razzismo emerge durante l’esperienza dell’imperialismo, a seguito del confronto con popolazioni diverse: l’unica motivazione per la conquista diventa l’inferiorità della razza. Il razzismo è un principio incompatibile con il principio dello stato nazionale poiché per l’ideologia razzista, non è l’appartenenza a un popolo che crea le differenze, ma l’appartenenza a una razza, un concetto che va oltre i confini degli stati. Il razzismo sostituisce i criteri politici e culturali con criteri che vogliono essere biologici. Il razzismo conquista l’Europa e il principio del razzismo si sostituisce al principio dello stato nazionale. Inizialmente, il razzismo si rivolge verso l’esterno dell’Europa, ma dopo la Prima guerra mondiale, si rivolge verso l’interno dell’Europa. Iniziano ad emergere idee di popolo che non coincidono con gli stati nazionali, come il panslavismo o il pangermanesimo. In questo periodo, si verifica la realtà degli apolidi, cittadini senza cittadinanza. Gli stati non accettavano coloro che erano fuggiti e non c’era naturalizzazione poiché anche questa veniva rifiutata; queste erano le due uniche possibilità per venire incontro all’apolide. Così, i campi di internamento aumentano. Il problema dei diritti umani, secondo Arendt, non viene tutelato se non per i “cittadini”.

La società di massa

La borghesia aveva cominciato a rompere l’equilibrio, quindi l’imperialismo rappresenta il colpo che la borghesia dà al proprio sistema. Tuttavia, l’imperialismo non è ancora totalitarismo. L’imperialismo svuota, però, di significato lo stato nazionale. Inoltre, mentre si afferma l’imperialismo si assiste a una sostituzione della società fondata sulle classi con la società di massa.

Iosif Stalin

Qual è il rapporto tra il totalitarismo e la società di massa? La società di massa può far nascere il totalitarismo o è necessario che con la società di massa nasca il totalitarismo? Per comprendere la società di massa, bisogna considerare il passaggio tra una società classista e una società non classista. In una società classista, chiunque appartenga a una classe delega a qualcuno della propria classe di rappresentarlo nella partecipazione alla vita pubblica. Così, si crea una massa di persone che delega il proprio essere cittadini. Questa massa “addormentata”, quando la società di classe muore, esplode e diventa il vero soggetto della nuova situazione: c’è un atteggiamento di rivolta contro ciò in cui si era vissuto finora. C’è anche un isolamento, poiché c’è una molteplicità di individui a cui manca la relazione tra gli individui.

Stalin, sottolinea Arendt, distrugge anche la classe operaia, poiché trasforma gli operai in una massa condannata ai lavori forzati. Hitler, invece, non è come Stalin: nel 1933 afferra il potere quando la società di massa si era appena affermata come forma della società tedesca. Invece di edificarla, Hitler istituisce l’organizzazione adatta a questa società, utilizzando questa nuova forma sociale per i propri scopi totalitari.

L’alleanza di plebe ed élite

La società di massa si fonda sull’alleanza di due movimenti: la plebe e l’élite. Quest’ultima demolisce la società di massa e istituisce la società su cui si fonderà il totalitarismo. Plebe ed élite sono dei declassati. C’era l’idea che con la guerra si sarebbe rinnovata la società; la guerra avrebbe dovuto distruggere il modello borghese e la morale di quel mondo: la guerra avrebbe distrutto l’ipocrisia. Ci sono i ceti intellettuali che applaudono la plebe quando questa distrugge. Il nazismo si appoggia alla plebe ma arrivato al potere si sbarazza della plebe, perché plebe ed élite sono espressione di malcontento. Quelli che hanno portato Hitler al potere sono l’élite e la plebe, ma quelli che formano il potere di Hitler sono i borghesi.

Il totalitarismo

Nell’ultima parte dell’opera, la Arendt si sofferma ad analizzare i due caratteri fondamentali che costituiscono l’essenza del totalitarismo: terrore e ideologia.

Il terrore è esercitato sia attraverso la polizia segreta, con il suo continuo spionaggio, sia attraverso i campi di concentramento, che hanno la funzione di annientare gli oppositori politici, trasformati in “nemici”. Ma prima ancora della tortura fisica e della morte, il totalitarismo – e qui risiede la vera novità di questi regimi – annienta l’uomo nello spirito, rendendolo un essere superfluo e senza nome, attraverso l’uso dell’ideologia: «la differenza fondamentale tra le forme totalitarie e quelle tiranniche tradizionali è che il terrore non viene più usato principalmente come un mezzo per intimidire o liquidare l’avversario, ma come uno strumento permanente con cui governare masse assolutamente obbedienti».

«L’inferno nel senso più letterale della parola era costituito da quei tipi di campi perfezionati dai nazisti, in cui l’intera vita era sistematicamente organizzata per infliggere il massimo tormento possibile. […] Le masse umane segregate in essi sono trattate come se non esistessero più, come se la sorte loro toccata non interessasse più nessuno, come se fossero già decedute e uno spirito maligno impazzito si divertisse a trattenerle per un po’ fra la vita e la morte prima di ammetterle alla pace eterna. Non è tanto il filo spinato, quanto l’irrealtà abilmente creata degli individui da esso circondati che provoca crudeltà così enormi e alla fine fa apparire lo sterminio come una misura perfettamente normale, […] in un mondo privo di quella struttura di conseguenze e responsabilità»    

L’ideologia è, secondo la Arendt, quel sistema teorico costruito dai regimi totalitari per giustificare la propria politica attraverso una spiegazione totale della storia e costringere i propri sudditi a obbedire a regole e a obblighi che hanno senso solo all’interno dell’ideologia stessa. L’ideologia totalitaria mira direttamente alla “trasformazione della natura umana” e a capovolgere le stesse norme della logica:

«La punizione viene inflitta senza alcuna relazione con un reato, lo sfruttamento praticato senza un profitto e il lavoro compiuto senza un prodotto: è una società dove quotidianamente si crea insensatezza. Eppure, nel contesto dell’ideologia totalitaria, nulla potrebbe essere più sensato e logico: se gli internati sono dei parassiti, è logico che vengano uccisi col gas; se sono dei degenerati, non si deve permettere che contaminino la popolazione; se hanno un’anima da schiavi, non si deve sprecare il proprio tempo per cercare di rieducarli. (…) Le ideologie sono opinioni innocue, acritiche e arbitrarie solo finché nessuno vi crede sul serio. Una volta presa alla lettera la loro pretesa validità totale, esse diventano il nucleo di sistemi logici in cui, come nei sistemi dei paranoici, ogni cosa deriva comprensibilmente e necessariamente, perché una prima premessa viene accettate in modo assiomatico»

Mentre distrugge tutte le connessioni di senso con cui normalmente si calcola e si agisce, il regime impone una specie di supersenso, che in realtà le ideologie avevano in mente quando pretendevano di aver scoperto la chiave della storia.

Il totalitarismo trasforma le classi sociali in masse di individui omologati, isolati dalla sfera politica e estraniati da qualsiasi tipo di rapporto sociale, annientati nella loro stessa individualità:

«Dopo l’uccisione della persona morale e l’annientamento della persona giuridica, la distruzione dell’individualità riesce quasi sempre. Presumibilmente si troverà qualche legge della psicologia di massa capace di spiegare perché milioni di persone si lasciare portare incolonnati senza resistere nelle camere a gas, anche se tale legge non spiegherà altro che l’annullamento dell’individualità»

L’insistenza di Arendt sulla condizione di isolamento degli uomini della società di massa, ove il conformismo sociale è una minaccia costante, vuole mostrarci il totalitarismo come una “potenzialità”, un “costante pericolo”, anche dopo le sue forme storiche del Novecento.

Arendt fa anche una distinzione fra propaganda totalitaria e terrore. La propaganda è lo strumento con cui si costruisce il potere e dopo aver raggiunto il potere si stabilisce il terrore, che si fonda su un progetto più preciso della propaganda: l’organizzazione. Arendt, quindi, non parla del Führerprinzip (che era anche un principio giuridico); per Arendt quello sarebbe un “semplice” principio dittatoriale. La cosa impressionante non è che il potere sia nelle mani di una persona, ma che non sia nelle mani di nessuno, dal momento che è in mano della “macchina del potere”, che coinvolge tutti senza che mai si colga la responsabilità.
Il termine propaganda indica un preciso processo che possiamo indicare con l’espressione “distruzione della realtà”. La propaganda sostituisce all’esperienza un sistema ben organizzato, logico con conseguenze necessariamente coerenti; della realtà manca soprattutto il senso del caso. Attraverso la rigidezza del sistema di propaganda, la libertà viene distrutta.

Il male radicale

Il fine del sistema totalitario, per Arendt, è l’obiettivo di un dominio assoluto sull’uomo, con l’annullamento della sua spontaneità e libertà. Il campo di concentramento viene definito come un laboratorio della propria ideologia, in cui si prova a ridurre l’uomo ad una macchina; è in piccolo ciò che il totalitarismo farà in grande se vincesse. Il morente del campo di concentramento è, agli occhi del regime totalitario, il cittadino modello.
Nella distruzione dell’uomo ci sono tre passaggi fondamentali che hanno un preciso riscontro storico:

  1. distruggere la personalità giuridica dell’uomo (privare gli individui dei loro diritti);
  2. uccidere la personalità morale dell’uomo (cioè annullare la differenza tra il bene e il male);
  3. distruggere la stessa individualità dell’uomo (quindi non del corpo).

Così si costruisce il mondo dei morenti. Ecco il male assoluto, o male radicale, cioè male che può esser pensato solo fine a se stesso; male che uccide ciò che rende  l’uomo uomo.

Share
Subscribe
Notificami
guest
0 Messaggi
Inline Feedbacks
View all comments