Responsabilità e giudizio
Nel testo Responsabilità e giudizio, Arendt analizza tre spiegazioni fallaci che intellettuali e responsabili si sono dati durante e dopo l’accaduto:
– La colpa è collettiva. Arendt dice che chi parla di colpa collettiva sta dicendo che se tutti sono colpevoli, nessuno lo è. I problemi morali e i problemi politici sono diversi ma entrambi sono accomunati dalla facoltà di giudicare. Nel 1933 in tanti avevano trovato giusto uniformarsi e questo ha portato a un collasso della facoltà di giudicare. Arendt esalta il diritto, perché di fronte a un tribunale l’argomento della colpa collettiva non vale.
– “Se non lo avessi fatto io l’avrebbe fatto qualcun altro”. Questa giustificazione, secondo Arendt, è tipica dei sistemi totalitari, perché la burocrazia è così efficiente che ognuno è sostituibile. Anche tale giustificazione viene meno di fronte al tribunale e, in questo modo, l’istituzione giuridica diventa rifugio della verità. L’altro rifugio è l’università, dove si ha il dovere di dire la verità.
– “Ho cercato di essere responsabile e ho scelto il male minore”. Per queste persone, sostiene Arendt, era giusta una certa forma di obbedienza. Ma Arendt sottolinea il fatto che, se la giustizia perisce, non ha più senso la vita umana sulla terra. Infine, accettare il male minore vuol dire sempre accettare il male e scegliere il male è, ovviamente, male.
Arendt si chiede: che cosa ha permesso ad alcuni di salvarsi o di accettare anche la morte piuttosto che compromettersi con il sistema?
Arendt sostiene che queste persone non erano dotate di valori superiori o erano più colte, ma osavano giudicare da sé. Questa capacità, dice Arendt, è legata alla predisposizione di poter vivere con se stessi.
Arendt si chiede anche: cosa ha portato molte persone a comportarsi in quei modi?
La questione in gioco è quella dell’obbedienza. Quelli che ritengono che l’obbedienza sia una virtù politica, secondo Arendt, confondono il consenso con l’obbedienza: un adulto acconsente, un bambino obbedisce. Quando un adulto dice di obbedire non sta prestando semplicemente il consenso, ma sta sostenendo l’organizzazione.