“Un libro, per triste che sia, non può essere triste come una vita”. Con “Trilogia della città di K.”, Ágota Kristóf ha voluto scrivere una formidabile favola nera, tre romanzi che intrecciano le vite di due gemelli con un’anima sola, in un paese dell’est, durante la Seconda guerra mondiale. “A forza di ripeterle, le parole a poco a poco perdono il loro significato e il dolore che portano si attenua […] Diminuire, attenuare, l’ho detto, sì, ma non svanire”: il libro è un viaggio in un abisso in grado di attrarre per la sua oscurità, “diceva che il luogo ideale per dormire era la tomba di una persona amata”. Il romanzo, composto da tre libri conclusi nel 1991 e da allora raggruppati, è scritto in maniera asciutta e trasuda di disincanto. Uno dei miei preferiti.
Incipit:
Arriviamo dalla Grande città. Abbiamo viaggiato tutta la notte. Nostra Madre ha gli occhi arrossati. Porta una grossa scatola di cartone, e noi due una piccola valigia a testa con i nostri vestiti, più il grosso dizionario di nostro Padre, che ci passiamo quando abbiamo le braccia stanche.