Carlo e Nello Rosselli sono stati due esponenti del socialismo italiano. Nati nel 1899 (Carlo) e nel 1900 (Nello), hanno rappresentato per il socialismo una risorsa di grande importanza, perché, con anticipo di alcuni decenni rispetto all’evoluzione del socialismo europeo, hanno prefigurato un modello di socialismo non marxista, ispirato al laburismo inglese, che tenesse conto dei principi e delle regole della democrazia liberale. Carlo Rosselli scrisse queste idee nel suo libro Socialismo liberale, scritto durante il confino a Lipari, cui fu costretto dal fascismo. Notevole fu il rapporto dei due fratelli con alcune delle figure più illuminate della sinistra italiana, da Piero Calamandrei a Gaetano Salvemini, da Ferruccio Parri a Sandro Pertini, da Ernesto Rossi a Filippo Turati. Perseguitati dal fascismo, riuscirono a fuggire a Parigi, dove viveva una colonia di espatriati italiani che fondò il movimento di Giustizia e Libertà: Carlo vi giunse nel 1929, Nello nel 1937. Il 9 giugno del 1937, Carlo e Nello Rosselli furono assassinati da alcuni militanti della Cagoule, il movimento fascista francese, su probabile mandato dei servizi segreti italiani.
Giorgio Perlasca
Tra i Giusti di Yad Vashem a Gerusalemme c’è il nome di un uomo, Giorgio Perlasca, la cui storia si conosce quasi per caso. Nato nel 1910, partecipa come tanti italiani alle vicende del fascismo, aderendo anche alle guerre di Mussolini (in Africa Orientale, in Spagna per aiutare Francisco Franco), ma nel 1938 rimane deluso dal regime e dalle sue “leggi razziali“, iniziando ad allontanarsi dal fascismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, va a Budapest, come diplomatico. Caduto il regime fascista italiano nel 1943, dopo la presa del potere in Ungheria da parte dei nazisti ungheresi nel 1944, Perlasca si nasconde nell’Ambasciata spagnola (per la neutralità di Madrid nella guerra), dove inizia a collaborare con l’ambasciatore. Si finge anche lui spagnolo e, sotto falso nome, (Jorge Perlasca) comincia ad aiutare molti ebrei ungheresi a fuggire dai nazisti e a salvarsi dallo sterminio. Quando l’ambasciatore spagnolo scappa da Budapest per non dover riconoscere il nuovo governo dei nazisti ungheresi, Perlasca ne prende il posto e porta avanti coraggiose e pericolose operazioni per salvare migliaia di ebrei, producendo documenti falsi e dando da mangiare a numerosi fuggitivi, nascondendoli dalle SS.
Don Giovanni Minzoni
Nato a Ravenna nel 1885, Giovanni Minzoni studiò in seminario per diventare sacerdote. Fu inviato ad Argenta, vicino a Ferrara, una terra particolarmente ostile per la Chiesa cattolica. In quei tempi, infatti, l’Emilia-Romagna era una zona dove trionfavano dottrine in polemica con il cattolicesimo: il socialismo, il repubblicanesimo, l’anticlericalismo. Pochi avevano il coraggio di andare in chiesa, non perché rischiassero la vita, ma perché questo comportava il loro isolamento dal resto della comunità.
Don Giovanni Minzoni seppe fare breccia in questo clima difficile. La sua sensibilità per i temi sociali lo portò a conseguire il diploma di sociologia alla Scuola sociale di Bergamo. Il suo attivismo e la sua apertura culturale gli permisero di diventare ben presto popolare ad Argenta, dove seppe farsi rispettare anche dalle persone più ostili al cattolicesimo. Non esitò a partire come cappellano militare nella Prima Guerra Mondiale, dove rifiutò le comodità dello status e chiese di poter stare in prima linea con i suoi soldati: dopo la battaglia del Piave, ottenne dai comandi una medaglia d’argento al valor militare. Ritornato ad Argenta, riprese la guida della comunità.
La sera del 23 agosto 1923 alcuni sicari del regime lo uccisero. Il fascismo fece molta fatica a mettere a tacere la situazione, dato che don Minzoni era troppo apprezzato anche dai non cattolici per essere facilmente dimenticato: ci vollero ben due anni di processi e intimidazioni per “chiudere” il caso. Solo nel 1947, dopo la guerra, un tribunale dell’Italia repubblicana condannò i responsabili dell’omicidio.