Hegel: il problema dell’Antigone

Il mito di Antigone ha sempre affascinato Hegel, tanto che egli fin dalle sue prime opere ne parla come di una “tragedia superba”. Nella Fenomenologia dello Spirito, il filosofo tedesco tratta questo mito in due occasioni: dal punto di vista storico, come esemplificazione dello stato conflittuale nel regno greco; e dal punto di vista artistico nel capitolo successivo, come esemplificazione della tragedia in generale.

L’Antigone di cui parla Hegel è quella narrataci da Sofocle: figlia del re di Tebe, Edipo, il quale ha risolto l’indovinello della Sfinge ma che viene esiliato quando viene scoperto il suo parricidio e l’incesto, benché compiuti involontariamente; Antigone, sorella di Polinice ed Eteocle che avrebbero dovuto regnare sulla polis, decide di dare sepoltura al fratello Polinice dopo che i due ragazzi si sono uccisi tra di loro. In questo modo trasgredisce l’editto di Creonte, suo zio e nuovo regnante, che la condanna a morte.

Sofocle riprende il mito dalla tradizione e pone delle modifiche sostanziali: un ditirambo di Ione di Chio, benché non sia l’origine del mito, ci mostra un archetipo precedente. Secondo questa versione, la proibizione della sepoltura sarebbe da attribuire al figlio di Eteocle, Laodama, mentre entrambe le sorelle di Polinice rifiutano di osservare l’interdizione.

I cambiamenti introdotti da Sofocle portano la vicenda da una vendetta familiare ad uno scontro politico, e la differenziazione dell’attitudine delle due sorelle accentua la grandezza morale e la tragicità di chi porta avanti i precetti sacri, ossia Antigone.

E di questo mito si serve il filosofo: dello scontro tra l’individuo e la polis. Non l’individuo e lo stato in genere, ma in un tempo determinato, in un periodo dove il singolo conta solo come cittadino, dove c’è una simbiosi tra i vari uomini in una comunità che sopprime l’individualità che trova spazio solo nella famiglia, ossia una comunità naturale.

In questa fase storica, la comunità è immediata e naturale e quindi non è veramente universale ed ha bisogno degli individui solo come numero, come soldati per la guerra, la quale, secondo il filosofo, costituisce l’azione universale per eccellenza; in questo modo essa si contrappone alla famiglia in quanto necessariamente ne uccide i membri. Ma è proprio quando la comunità sopprime l’individuo, non considerando la sua particolarità e le sue emozioni, quando cioè tenta di comprimere la famiglia, è proprio da quest’ultima che si erge chi nella guerra vede l’aspetto umano e vede cadere non un soldato, ma il marito, il fratello, il figlio particolari. Si erge l’elemento femminile che chiede che venga riconosciuto l’individuo, ma non l’individuo in generale, bensì un individuo particolare: il fratello. E’ nel negare l’atto che permette all’individuo di giungere ad un significato spirituale, di essere riconosciuto come particolare che si erge la donna: Antigone appunto. E questa comunità può soltanto andare a fondo.

Il libro di Ruth

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