L’inquisizione spagnola

La storia dell’inquisizione spagnola è stata spesso interpretata in modo opportunistico a seconda delle posizioni di partenza degli storiografi. Il giornalista spagnolo Julian Juderìas ha coniato, a tal proposito, l’espressione leyenda negra (“leggenda nera”), per identificare quel riflesso intellettuale, diffuso soprattutto nell’Europa del nord, che pone in risalto gli aspetti più torbidi dell’inquisizione in un’ottica antispagnola.

Inquisizione spagnola

L’inquisizione spagnola, in tutta la sua storia, non è stata uno strumento così solido ed efficace come viene tramandato, né era solita ricorrere alla tortura o alla morte, pur mancando per l’accusato un reale meccanismo di difesa. I processi seguivano una certa imparzialità, benché l’istituto non fosse esente da corruzione. Numerose vittime dell’inquisizioni sono state ebrei o di origine ebraica, ma l’antisemitismo, che pure l’inquisizione ha istituzionalizzato e incentivato, non è nato con questo tribunale e la cancellazione del tribunale non porterà alla fine dell’antisemitismo, per quanto sia fuori di dubbio che il tribunale abbia contribuito alla denigrazione dell’ebreo. L’inquisizione spagnola non ha perseguitato solo le fedi minoritarie, ma ha anche cercato di correggere e definire diversi aspetti della fede cristiana. Tuttavia, l’inquisizione è stata sottomessa più alla corona che al papa e in molti casi è stata utilizzata per consolidare il potere statale. Nonostante la reale convinzione di molti inquisitori di difendere la fede cattolica o la nazione spagnola, molti processi hanno avuto luogo a causa di dissidi sociali ed economici e per radicati pregiudizi culturali, di cui hanno fatto le spese migliaia di vittime innocenti.

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Le “leggi razziali” nell’Italia fascista

Il fascismo arrivò al potere in Italia nel 1922, quando Benito Mussolini diventò capo del governo e, in seguito, dittatore (“Duce”).

Nell’Italia fascista, gli ebrei (circa 47 mila, su una popolazione italiana totale di oltre 41 milioni di abitanti) vivevano integrati con il resto della popolazione: come tra tutti gli italiani, anche tra gli ebrei c’erano i fascisti e gli antifascisti, i più ricchi e i più poveri, i più istruiti e i meno istruiti. In più va detto che la comunità ebraica italiana (quella di Roma in particolare) era la più antica comunità ebraica d’Europa (presente nella Penisola fin dal II secolo a.C.).

Negli anni ’30, il regime fascista cominciò a percorrere la strada del razzismo: con la guerra d’Etiopia (1935-1936), quando cioè l’Italia aggredì e poi annesse il paese dell’Africa Orientale, si sviluppò l’idea di evitare il “rischio” di una popolazione di “meticci”, cioè di persone nate dall’unione tra italiani bianchi e africani neri. In questo modo il fascismo produsse le prime norme di stampo razzista, vietando il matrimonio tra bianchi e neri.

In pochi mesi il razzismo diventò anche antisemitismo (ostilità contro gli ebrei), cioè quella forma particolare di razzismo che era molto diffusa in Europa in quegli anni: nella Russia zarista di inizio secolo, nella Germania nazista, nella Polonia della dittatura militare e così via. Nei primi mesi del 1938 anche in Italia ci fu una violenta campagna antisemita, che portò il regime fascista a promulgare, tra settembre e novembre, le “leggi razziali”, cioè delle leggi in cui si diceva che gli italiani erano “ariani” e che gli ebrei non erano mai stati italiani.

A partire da quel momento, gli ebrei italiani non potevano più lavorare nelle amministrazioni pubbliche, insegnare o studiare nelle scuole e università italiane, far parte dell’esercito, gestire alcune attività economiche e commerciali che il fascismo giudicava “strategiche” per la nazione. Di anno in anno le misure contro gli ebrei diventarono sempre più dure, fino al 1943, quando l’occupazione tedesca dell’Italia del centro-nord diventò una tragedia anche per gli ebrei italiani, molti dei quali finirono nei campi di concentramento e di sterminio.

Le leggi razziali

In quegli anni gli italiani si comportarono in maniera molto diversificata nei confronti dei loro connazionali di origine ebraica: in molti casi li aiutarono a sopravvivere e, al momento del bisogno, li nascosero e portarono in salvo; in altri casi, soprattutto nelle città più piccole, ne approfittarono per ricavare dei vantaggi economici e li denunciarono alle autorità.

Le leggi razziali

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Giorgio Perlasca

Giorgio Perlasca

Tra i Giusti di Yad Vashem a Gerusalemme c’è il nome di un uomo, Giorgio Perlasca, la cui storia si conosce quasi per caso. Nato nel 1910, partecipa come tanti italiani alle vicende del fascismo, aderendo anche alle guerre  di Mussolini (in Africa Orientale, in Spagna per aiutare Francisco Franco), ma nel 1938 rimane deluso dal regime e dalle sue “leggi razziali“, iniziando ad allontanarsi dal fascismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, va a Budapest, come diplomatico. Caduto il regime fascista italiano nel 1943, dopo la presa del potere in Ungheria da parte dei nazisti ungheresi nel 1944, Perlasca si nasconde nell’Ambasciata spagnola (per la neutralità di Madrid nella guerra), dove inizia a collaborare con l’ambasciatore. Si finge anche lui spagnolo e, sotto falso nome, (Jorge Perlasca) comincia ad aiutare molti ebrei ungheresi a fuggire dai nazisti e a salvarsi dallo sterminio. Quando l’ambasciatore spagnolo scappa da Budapest per non dover riconoscere il nuovo governo dei nazisti ungheresi, Perlasca ne prende il posto e porta avanti coraggiose e pericolose operazioni per salvare migliaia di ebrei, producendo documenti falsi e dando da mangiare a numerosi fuggitivi, nascondendoli dalle SS.

Finita la guerra, Giorgio Perlasca torna a condurre la vita di prima, senza raccontare, nemmeno ai suoi famigliari, quel che ha fatto in Ungheria. La sua storia viene alla luce quando un gruppo di donne ebree ungheresi, alla fine degli anni ottanta, cerca notizie di quest’uomo, scoprendo che è italiano e, infine, raggiungendolo a Padova, dove vive, per ringraziarlo. Perlasca è scomparso nel 1992.

 

 

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