Rita Levi Montalcini

Rita Levi Montalcini

Nacque a Torino il 22 aprile 1909. Conseguì la laurea in medicina nel 1936 presso l’università di Torino e iniziò giovanissima i suoi studi sul sistema nervoso nella scuola medica dell’istologo Giuseppe Levi (padre di Natalia Ginzburg). A causa delle leggi razziali, essendo ebrea, fu costretta a fuggire in Belgio nel 1938 ma dopo la guerra ritornò a Torino ed allestì anche a casa un laboratorio.
Nel 1947 proseguì i suoi studi presso il Dipartimento di Zoologia della Washington University dove rimase fino al 1977. Durante questo periodo, negli anni Cinquanta, le sue ricerche condussero alla scoperta del “fattore di crescita nervoso” (NGF), elemento essenziale per la crescita e la differenziazione delle cellule nervose, sensoriali e simpatiche. Portò avanti queste ricerche per trent’anni e nel 1986 fu insignita del Premio Nobel per la medicina.
Tornata in Italia diresse, prima, il Centro di Ricerche di Neurobiologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Roma) in collaborazione con l’Istituto di Biologia della Washington University, e poi il Laboratorio di Biologia cellulare. Successivamente si ritirò da questo incarico per aver raggiunto i limiti di età, anche se le sue ricerche non si arrestarono.
Nel 2001 è stata nominata senatore a vita.
Ha, inoltre, vinto molti prestigiosi premi e ricevuto numerosi riconoscimenti: fra cui alcune lauree honoris causa da numerose Università.

E’ morta il 30 dicembre 2012, all’età di 103 anni e mezzo.

E’ da notare che su 741 premi assegnati dal 1901 a oggi, soltanto 35 sono andati a donne. Su 521 Nobel complessivi per la scienza (Chimica, Fisica e Medicina), inoltre, solo 12 sono donne. La stessa Rita Levi Montalcini ha dovuto combattere tutta la vita per essere accettata negli ambienti scientifici più esclusivi. Ha sempre pensato che le donne abbiano sempre dovuto lottare doppiamente, abbiano sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale, e comunque le donne restano la colonna vertebrale delle società. La differenza tra uomo e donna, afferma, è epigenetica, ambientale. Il capitale cerebrale è lo stesso: in un caso è stato storicamente represso, nell’altro incoraggiato.
Sul presente delle donne è ottimista perché, secondo lei, l’Europa sta facendo grandi progressi in questo senso. In Africa, invece, devono combattere anche per poter semplicemente studiare. Per questo la Fondazione Levi Montalcini (1992) è rivolta al conferimento di borse di studio alle giovani studentesse universitarie africane, con l’obiettivo di creare una classe di giovani donne che svolgano un ruolo importante nella vita scientifica e sociale del loro paese. Sono le sue parole: “Queste ragazze hanno più fame di conoscenza che di cibo e sono molto più determinate degli uomini: quando possono istruirsi i risultati sono davvero sorprendenti”.
Per quanto riguarda la politica, è favorevole al sistema delle quote rosa, che spesso è l’unica possibilità per garantire pari opportunità. Le donne devono godere degli stessi diritti, e potersi assumere gli stessi doveri degli uomini. E invece, fare un figlio mette comunque a rischio il loro lavoro. Per lei la famiglia non è stata un’opzione. Non ha mai pensato di sposarsi: “Io sono sposata con la scienza, non ho mai sentito la mancanza di un figlio o il bisogno di legarmi a un uomo. Sono felice così. E se in passato sono stata corteggiata da qualche collega non me ne sono proprio accorta. L’amore su di me ha l’effetto dell’acqua sulle piume di un’anatra: sono totalmente impermeabile”.

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La Monaca di Monza

Monaca di Monza

Marianna de Leyva nasce nel 1575, figlia del conte di Monza, Martino di Levya. Sua madre, Virginia Maria, muore di peste l’anno successivo.
Per toglierle l’eredità lasciata dalla madre, Marianna viene costretta ad entrare nel convento di Santa Margherita in Monza e il padre se ne va in Spagna dimenticandola. Marianna prende il nome di suor Virginia.
Dopo alcuni anni in convento, però, comincia una relazione amorosa con il nobile Giovan Paolo Osio da cui ha due figli: un bambino nato morto e una bambina che cresce in casa di Osio senza che qualcuno riveli chi è la madre.
Un giorno però, una giovane monaca, Caterina Cassini, minaccia di rivelare la vicenda e per questo viene uccisa e seppellita nel convento, dicendo che è fuggita.
Altre due suore, che all’inizio erano complici, cominciano a ricattare suor Virginia. Osio uccide la prima e prova ad uccidere la seconda che, però, sopravvive e rivela lo scandalo.
Suor Virginia viene arrestata il 15 novembre 1607. Gian Paolo Osio scappa a Milano. Qui l’umo crede di essere protetto da alcuni amici, ma questi lo uccidono a bastonate per avere soldi della taglia.
Nel 1608 suor Virginia è condannata a vivere in una cella dove la porta e la finestra sono murate, nel convento delle Convertite di Santa Valeria a Milano.
Dopo 15 anni, il cardinale Federico Borromeo afferma che la Signora di Monza si è veramente pentita e la fa liberare. Ma suor Virginia sceglie di restare in quel convento fino alla sua morte, avvenuta dopo altri 28 anni, nel 1650.

La monaca di Monza è diventata celebre nella letteratura grazie al romanzo de I promessi sposi, di Alessandro Manzoni. Nel romanzo suor Virginia si chiama Gertrude e il suo ‘amante Egidio.

Dagli occhi neri penetranti alla sua infanzia, Manzoni, ci descrive la sofferenza della monaca e la sua successiva crudeltà.

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Don Lorenzo Milani

Don Lorenzo Milani

Nato nel 1923 a Firenze da una famiglia borghese, con madre ebrea, Lorenzo Milani studia a Milano al liceo classico e all’Accademia di Brera. Attraverso l’arte sacra, Lorenzo si avvicina al Vangelo e alla religione cattolica, frequenta il seminario e diventa sacerdote nel 1947.

Subito mostra interesse per i più poveri e deboli: operai e contadini che non possono studiare e cambiare posizione nella società. Nel 1954 diventa priore della parrocchia di Barbiana, piccolo paese della montagna fiorentina, dove è inviato a causa di alcune divergenze con l’arcivescovo. Qui offre agli studenti delle famiglie più povere una scuola unica e speciale, per aiutarli nello studio e superare le difficoltà legate alle condizioni famigliari. Il motto della scuola è l’inglese “I care” (contrapposto al motto “me ne frego” dei fascisti): a don Lorenzo sta a cuore il destino di ognuno degli studenti, nessuno dei quali deve rimanere indietro, il contrario di quanto fa – secondo don Milani – la scuola di Stato. A Barbiana invece, tutti gli studenti collaborano alla didattica: chi sa di più aiuta gli altri e la scuola è aperta 365 giorni l’anno.

Don Lorenzo Milani

Nel 1965 diventa famoso per avere scritto, in L’obbedienza non è più una virtù, una lettera a un gruppo di cappellani militari (cioè i preti che seguono i soldati nell’esercito), che hanno in precedenza scritto contro l’obiezione di coscienza (cioè la possibilità di non entrare nell’esercito per la leva militare ma di fare altre attività). Don Milani viene accusato e processato in tribunale.

Nel 1966 scrive, insieme con i ragazzi della scuola di Barbiana, il celebre Lettera ad una professoressa, in cui condanna la struttura della scuola esistente e presenta i principi della scuola di Barbiana.

Muore nel 1967, ad appena 44 anni, per un male gravissimo. Secondo molti, don Milani è considerato uno dei padri del Sessantotto italiano e della contestazione, perché ha messo in discussione gli aspetti più conservatori della società dell’epoca, identificati nella scuola e nell’esercito.

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Enrico Mattei

Enrico Mattei

La storia di Enrico Mattei è certamente legata all’ENI e alla sua misteriosa morte. In realtà Mattei, nato nelle Marche nel 1906, si è distinto per la partecipazione durante la Seconda Guerra Mondiale alla guerra partigiana contro i nazi-fascisti, nelle formazioni cattoliche. Poi è stato tra i principali esponenti della Democrazia Cristiana, che lo ha mandato nel 1945 alla guida dell’AGIP, l’ente petrolifero italiano. Avrebbe dovuto liquidarlo, per via delle sue condizioni disastrate, ma al contrario ha capito le potenzialità del settore. In pochi anni l’AGIP ha ampliato la sua produzione nella Pianura Padana e nel 1953 Enrico Mattei ha dato vita all’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) e l’ha fatta diventare in breve tempo un colosso. La sua principale battaglia, poi vinta, è stata rompere il cartello delle “Sette sorelle” (5 compagnie americane, una inglese e una anglo-olandese) che praticavano prezzi molto sfavorevoli verso i paesi produttori di petrolio, detenendo il controllo del mercato occidentale. Mattei ha preso accordi diretti con l’Iran, offrendo condizioni molto favorevoli per Teheran, estendendo questi contratti alla Libia, all’Egitto e ad altri paesi produttori. Anche da qui, cioè dall’offerta di contratti più equi e giusti, nascono i buoni rapporti tra Italia e mondo arabo, mentre Mattei si è attratto l’ostilità delle grandi compagnie petrolifere mondiali. E’ morto il 27 ottobre 1962, in un incidente aereo su cui sono rimaste molte ombre: negli anni Novanta, nuovi studi scientifici sui reperti dell’aereo hanno riproposto la tesi dell’attentato, anche se risulta difficile capire chi, tra i suoi numerosi nemici, possa esserne responsabile.

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Ugo Forno

Ugo Forno

Ugo Forno è un bambino molto particolare. Nato il 27 aprile 1932, il ragazzo ha 12 anni quando si trova coinvolto in uno scontro per difendere il ponte ferroviario sull’Aniene, vicino a Roma.
E’ il 5 giugno 1944 quando a Roma si cominciano ad attendere gli Alleati. I tedeschi prevedendo il loro arrivo decidono, per fermarli, di far saltare in aria il ponte che è parallelo alla via Salaria e che collega Roma con Firenze.
Ugo Forno ne sente parlare da alcuni uomini e decide di intervenire: prende un fucile e altre armi abbandonate, trovate in una grotta, e si dirige con altri amici a cercare dei volontari per fermare i tedeschi.
Gli uomini guidati da Ugo Forno arrivano vicino al ponte mentre i guastatori hanno quasi concluso il loro lavoro e cominciano a sparare per disturbarli. I tedeschi, che sanno che non sono gli americani a sparare, non riescono però a completare la loro opera. Per vendicarsi però, cominciano a rispondere al fuoco con un mortaio.
I colpi raggiungono alcuni ragazzi alle gambe, alle braccia e un ben due raggiungono Ugo, sul petto e in testa.
I tedeschi fuggono, Roma è ormai libera e quel ponte continua a collegare Roma con Firenze e oggi porta il suo nome. Quello di un ragazzo morto per la libertà.

 

 

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Francesca Bertini

Francesca Bertini

Francesca Bertini è lo pseudonimo di Elena Seracini Vitiello, figlia di una attrice fiorentina e di un trovarobe (persona che per uno spettacolo teatrale deve trovare il materiale per la scenografia) napoletano. Nata nel 1892, è diventata fin da giovane una attrice di teatro, passando poi al cinema muto. La sua autorevole presenza in scena e la sua bellezza l’hanno trasformata nella prima vera diva del cinema del XX secolo, capace di imporre sue decisioni al regista: alle cinque del pomeriggio interrompeva il lavoro per bere un tè con le amiche al Grand Hotel e pretendeva sempre un vestito nuovo per ogni scena. Ha lavorato in Italia, Francia e Spagna (dove era conosciuta come “encantadora“) ed è stata molto popolare in Sud America. Tra i suoi quasi cento film: Histoire d’un Pierrot (1913), La signora delle camelie (1915), Odette (1916), Tosca (1918), La donna nuda (1922). Ha recitato anche in Novecento, di Bertolucci, nel 1975. Ma già nel 1921 aveva rinunciato a Hollywood per sposare Alfred Cartier. E’ morta nel 1985.

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Elena Lucrezia Cornaro Piscopia

Elena Lucrezia Cornaro Piscopia

Nata a Padova nel 1646 in una famiglia aristocratica, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia ebbe la fortuna di avere un padre che, studioso di fisica e allestitore di un’imponente biblioteca personale, capì l’intelligenza della figlia e le permise di studiare. Il suo obiettivo era dare lustro al nome della famiglia, ma Elena, che fu anche oblata benedettina, approfittò di questa situazione, ricevendo un’istruzione d’eccellenza grazie ai migliori insegnanti del momento, messi a disposizione dal padre. Elena si fece conoscere soprattutto per la sua erudizione in teologia e riuscì a partecipare alle dispute pubbliche filosofiche e teologiche. Dopo l’iniziale opposizione, il vescovo di Padova, che era anche cancelliere dell’Università, nel 1678 le conferì la laurea in filosofia, facendo di Elena la prima donna laureata al mondo. Morì giovane, nel 1684.

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Cagliostro

Cagliostro

Il Conte di Cagliostro, pseudonimo di Giuseppe Balsamo, nasce a Palermo il 2 giugno 1743. Suo padre muore quando Giuseppe è ancora molto piccolo. La famiglia vuole che il ragazzo studi per diventare gioielliere, questa professione però non gli piace, perciò alla fine viene affidato al convento dei Fatebenefratelli. Non avendo trovato il suo posto neanche lì, Giuseppe abbandona il convento e scappa a Messina. Lì, dal maestro Altolas impara i segreti dell’alchimia per poi partire per gli altri paesi. Viaggiando per Malta, Rodi e Balcani, e probabilmente anche per l’Egitto, Cagliostro fa una bella fortuna fingendo di essere un aristocratico e prendendo soldi dalla gente ingenua. Con tutto l’oro torna in Italia e si ferma a Roma, dove, con i documenti falsi, si fa conoscere come un gran guaritore per guadagnare ancora di più. Comincia anche ad organizzare delle sedute spiritiche. Per questo motivo viene alla fine cacciato dallo Stato Pontificio e comincia il suo viaggio per l’Europa, continuando la carriera di truffatore. Arriva in Inghilterra, dove diventa anche uno dei grandi massoni. A causa delle sue frodi però deve fuggire da Londra per ritornare a Roma. La sua fama di mago e alchimista non gli serve. Denunciato dalla propria moglie, Cagliostro viene condannato e rinchiuso nel Castel Sant’Angelo. Dopo qualche anno viene trasferito nella Rocca di San Leo, dove muore il 26 agosto 1795 a causa di un ictus.

La figura di Cagliostro diventa un’ispirazione per molti scrittori, compositori e registi, tra cui anche Alexandre Dumas e Johann Wolfgang Goethe.
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Antonio Meucci

Antonio Meucci

Antonio Meucci nasce a Firenze nel 1808, studia all’Accademia delle Belle Arti e trova lavoro come tecnico di teatro. Nel 1831 combatte nei moti rivoluzionari ed è costretto a lasciare l’Italia. Prima si trasferisce a Cuba e poi negli Stati Uniti dove apre una fabbrica di candele.
Costruisce il primo telefono per poter parlare con la moglie che è gravemente malata. Il suo telefono, chiamato da lui telettrofono, sfrutta l’idea che ha avuto quando lavorava come tecnico del teatro.
Per problemi economici la sua fabbrica di candele è costretta a chiudere e Meucci non ha i soldi sufficienti per pagare il brevetto definitivo ma solo un brevetto temporaneo. Per questo la sua invenzione è stata poi brevettata da uno statunitense, Alexander Graham Bell, e solo nel 2002 gli Stati Uniti hanno riconosciuto che il vero inventore del telefono è stato Antonio Meucci.
Meucci muore nel 1889 negli Stati Uniti.

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Guglielmo Marconi

Guglielmo Marconi - 2000 lire

Guglielmo Marconi nasce nel 1874 a Bologna. Sua madre è irlandese e anche suo padre decide di prendere la cittadinanza britannica. Con i suoi studi scopre come trasmettere dei segnali senza utilizzare i fili. Marconi cerca prima i finanziamenti dal governo italiano e poi si trasferisce in Inghilterra dove brevetta la sua invenzione. Anche se la richiesta è fatta in anticipo di 21 giorni rispetto alla trasmissione del russo Popov in seguito si contesta la paternità dell’invenzione.
Guglielmo Marconi resta comunque il primo ad aver intuito le applicazioni commerciali di questa invenzione infatti prima fonde la Marconi Wireless Telegraph Company e poi la Marconi Corporation che permette un regolare servizio pubblico di radiotelegrafia attraverso l’Oceano Atlantico.
Nel 1909 vince il premio Nobel per la fisica per il suo contributo all’evoluzione del telegrafo senza fili.
Muore nel 1937 a Roma.
Prima dell’arrivo dell’euro Guglielmo Marconi è stato raffigurato sulle banconote da 2000 Lire.

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