Nata a Padova nel 1646 in una famiglia aristocratica, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia ebbe la fortuna di avere un padre che, studioso di fisica e allestitore di un’imponente biblioteca personale, capì l’intelligenza della figlia e le permise di studiare. Il suo obiettivo era dare lustro al nome della famiglia, ma Elena, che fu anche oblata benedettina, approfittò di questa situazione, ricevendo un’istruzione d’eccellenza grazie ai migliori insegnanti del momento, messi a disposizione dal padre. Elena si fece conoscere soprattutto per la sua erudizione in teologia e riuscì a partecipare alle dispute pubbliche filosofiche e teologiche. Dopo l’iniziale opposizione, il vescovo di Padova, che era anche cancelliere dell’Università, nel 1678 le conferì la laurea in filosofia, facendo di Elena la prima donna laureata al mondo. Morì giovane, nel 1684.
Tina Anselmi
Nata nel 1927 in provincia di Treviso, Tina Anselmi era una giovanissima studentessa negli anni della guerra. Il 26 settembre 1944 i nazifascisti obbligarono gli studenti di Bassano del Grappa ad assistere all’impiccagione pubblica di prigionieri antifascisti. Tra i giovani costretti a partecipare all’evento c’era anche Tina Anselmi, che decise di prendere una posizione matura e consapevole nel conflitto mondiale: aderì alla Resistenza e alla Democrazia Cristiana, entrando nei gruppi veneti dei partigiani antifascisti.
Dopo la guerra, laureatasi all’Università Cattolica, diventò insegnante elementare e partecipò alla vita sindacale. Nel 1976 fu la prima donna italiana ad assumere l’incarico di ministro, diventando responsabile del Lavoro e della Previdenza Sociale. Da ministra della Sanità fu tra i promotori della nascita del Servizio Sanitario Nazionale. Negli anni Ottanta guidò la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 (il nome di una loggia massonica accusata di cospirare per sovvertire l’ordinamento dello Stato).
Rispettata e amata anche dagli avversari politici, Tina Anselmi non è mai riuscita a diventare presidente della Repubblica, nonostante le periodiche candidature. Autentica paladina della democrazia e fautrice dei diritti sociali e delle pari opportunità, è morta il 1° novembre 2016.
Margherita Sarfatti
Margherita Sarfatti è una delle figure più importanti del primo Novecento italiano: scrittrice, giornalista, critica d’arte, promotrice dell’arte italiana nel mondo e a lungo amante e consigliera di Benito Mussolini.
Margherita Grassini, che dopo il matrimonio con Cesare Sarfatti prenderà il suo cognome, nasce nel 1880 da una famiglia ebraica e benestante di Venezia. Riceve una buona istruzione ed è fiera della sua cultura ebraica, nonostante si converta, poi, al cattolicesimo. Parla varie lingue e conosce molti artisti e intellettuali celebri all’epoca: è la prima donna a occuparsi di critica d’arte in Europa.
A ventidue anni si trasferisce a Milano dove, insieme al marito, frequenta gli ambienti socialisti e comincia a scrivere per L’Avanti, organo di stampa del Partito socialista italiano. Al giornale, la Sarfatti conosce Benito Mussolini, che ne diventerà il direttore e, dopo l’espulsione di Mussolini dal PSI, lo seguirà al giornale da lui fondato, Il Popolo d’Italia.
Il marito muore nel 1924 e la Sarfatti si trasferisce a Roma con i figli. L’anno successivo aderisce al Manifesto degli intellettuali fascisti e pubblica la biografia di Mussolini che ha un grande successo, sia in Italia che all’estero: in Inghilterra con il titolo The life of Benito Mussolini e in Italia col titolo DUX. Il libro ha aiutato non poco a creare il mito del duce.
Con la sua grande cultura e le sue conoscenze, la Sarfatti ha contribuito a dare al fascismo una valenza culturale più articolata e che andasse oltre la politica: è a lei che si deve il richiamo alla romanità su cui il fascismo ha poi puntato.
Nel 1932, però, la Sarfatti viene allontanata da Il popolo d’Italia e andrà a scrivere per la Stampa di Torino. Nel 1938, con l’emanazione delle leggi razziali, la Sarfatti abbandona l’Italia andando prima a Parigi e poi in Argentina. La sua famiglia in Italia verrà deportata ad Auschwitz da cui non farà più ritorno.
Tornata in Italia, nel 1947, molti amici le voltano le spalle e in tanti la accusano di complicità. Nel 1955, la Sarfatti pubblica un’autobiografia intitolata Acqua passata, in cui la figura di Mussolini è praticamente assente. Vivrà, così, in modo appartato fino alla sua morte nel 1961.