Le neuroscienze affettive: Panksepp e l’archeologia della mente

La rivoluzione scientifica portata avanti dalle neuroscienze ha a lungo ignorato le emozioni, come se esse non fossero parte della mente e del cervello. Nei suoi studi pluridecennali, Jaak Panksepp si è proposto di sopperire a tale mancanza, indagando scientificamente le emozioni nei tre aspetti coinvolti: mentale, cerebrale e comportamentale. Molti di questi risultati sono ancora oggi ignorati più per motivi culturali che per ragioni scientifiche, pur riscontrando negli ultimi anni un sempre maggiore interesse.
In queste pagine viene presentata la teoria di Panksepp così come esposta nei testi che raccolgono gran parte dei suoi risultati: Affective neuroscience (1998) e Archeologia della mente (2012); quest’ultimo scritto in collaborazione con la psicologa Lucy Biven. Diverso materiale consultato non è stato tradotto in italiano e quindi, nelle citazioni riportate, ho proceduto con una traduzione mia.

Le neuroscienze affettive

Le emozioni e i sentimenti affettivi sono generati da circuiti neurali profondi, ed evolutivamente più antichi, che condividiamo con tutti i mammiferi e con molti altri organismi. Ciò è dimostrato dalla scoperta delle strutture omologhe che danno origine a tali emozioni. Lo studio delle emozioni di base avviene con una nuova disciplina, le neuroscienze affettive, che integrano lo studio del cervello, del comportamento e della mente, in un rapporto triangolare, attraverso l’integrazione delle discipline quali la neurologia, la psicologia, la psichiatria, la sociobiologia e la filosofia, con uno studio intra-specie e in una prospettiva evolutiva. Questa disciplina, così concepita, permette anche di superare molte obiezioni legate ai limiti degli strumenti di ricerca.
Gli organismi vengono al mondo con un repertorio di comportamenti spontanei che rappresentano il bagaglio ancestrale che permette agli organismi di interagire attivamente nel proprio ambiente fin dalla nascita. È presumibile che le emozioni siano apparse, nella storia evolutiva, per permettere una migliore sopravvivenza dell’individuo e della specie. I processi emotivi, infatti, forniscono dei valori naturali interni che sono alla base delle scelte e sono determinanti nel coinvolgimento degli organismi nell’ambiente circostante e nel definire i rapporti sociali più articolati. Panksepp individua dei sistemi emotivi primordiali e questi sono: ricercacollerapauradesiderio sessualecurasofferenza e gioco.
L’arousal di questi circuiti genera non solo tendenze ad agire ma anche degli stati affettivi. Gli affetti emotivi non vanno però confusi con gli affetti omeostatici o con gli affetti sensoriali. Gli affetti emotivi si distinguono, infatti, sia per la generazione dei sentimenti affettivi, sia per la specificità della circuiteria neurochimica. Gli affetti emotivi non sono intenzionali, non sono attitudini proposizionali e non necessitano del linguaggio. Le emozioni sono fondamentali nell’apprendimento e nella memoria ed è proprio attraverso l’interazione di questi due processi di tipo secondario che le funzioni superiori vengono plasmate, articolate e mediate in un rapporto che però è integrato, circolare e bidirezionale. Molte delle nostre competenze cerebrali originano a livello sottocorticale e vengono poi articolate nelle funzioni superiori.
La necessità di coordinazione tra le funzioni di base, omeostatiche e affettive, ha generato una mappa neurale che Panksepp chiama proto-sé; tale proto-sé, con l’emergere dei sistemi emotivi e motivazionali, si è evoluto nel sé nucleare, fortemente legato alle strutture motorie. Tale sé nucleare, interagendo con i processi di tipo secondario e le funzioni di tipo terziario, ha originato il sé ideografico, che corrisponde alla coscienza così come viene comunemente intesa. La salienza del sé, così come teorizzata da Panksepp, descrive una gradualità nell’emergere della coscienza: oltre alla coscienza cognitiva esiste una coscienza affettiva. In tal modo cambia anche il concetto di inconscio, che non è più il regno delle pulsioni represse ma il luogo dei processi non cognitivamente consci.
La mente e i sentimenti sono originati nel cervello e sono radicati nei circuiti cerebrali eppure, sottolinea Panksepp, è fondamentale non cadere in un semplice riduzionismo neurale. Egli propone, pertanto, una teoria che prova andare oltre la dicotomia monismo/dualismo, identificando questa come monismo duale.
Panksepp e le neuroscienze affettive si confrontano con differenti teorie e approcci teorici. Attraverso tali confronti è possibile sottolineare alcuni aspetti originali dei suoi studi e, allo stesso tempo, dirimere alcune questioni più problematiche. I confronti qui proposti sono quelli con William James, e la sua teoria del feedback periferico; Paul Maclean, e il cervello uno e trino; Joseph LeDoux, con i suoi importanti studi sulla paura; Edmund T. Rolls, e i suoi studi sui sensi; e, infine, Antonio Damasio. La teoria di Panksepp e quella di Damasio, in particolare, presentano al tempo stesso delle forti similitudini e delle profonde divergenze.
La teoria di Panksepp ci mostra una nuova immagine della mente e dell’uomo, dove le emozioni giocano un ruolo fondamentale e dove il regno animale può fornirci delle valide informazioni sull’essere umano aprendo, infine, nuovi orizzonti nel campo della filosofia morale e della bioetica.

Le origini del percorso

Emozioni e affetti

Mente e processi mentali

Le emozioni primordiali

Panksepp a confronto

Share

Apprendimento e memoria: come migliorare?

Apprendimento

CervelloL’apprendimento è stato facilitato dall’emergere degli affetti: questi, infatti, hanno fornito dei valori per orientare il comportamento, dal momento che le esperienze sensoriali più importanti sono sentite come affettivamente piacevoli o spiacevoli. In seguito gli affetti hanno dato origine ad associazioni con eventi, organismi e oggetti sviluppando le potenzialità dell’apprendimento stesso. Quindi l’apprendimento non è una semplice associazione di idee e le emozioni giocano un ruolo fondamentale. La volontà nell’apprendimento è importante, ma solamente nella misura in cui orienta l’attenzione e cerca la strategia migliore per raggiungere un apprendimento consolidato. Molto spesso, però, l’apprendimento avviene senza che la nostra volontà giochi un ruolo, quindi l’apprendimento non è un processo esclusivamente intenzionale.

Memoria

Come diceva infatti Dante: Non fa scienza, / sanza lo ritenere, avere inteso (Divina commedia, canto V). Non è una vera conoscenza se non siamo in grado di ricordare dopo avere capito di che si tratta. Cruciale nell’apprendimento è, pertanto, il ruolo della memoria.
Quando si parla di memoria è centrale il concetto di «consolidamento», che è il nome che viene dato ai complessi processi cerebrali che «trasformano le esperienze fugaci in ricordi a breve termine, prima, e in ricordi a lungo termine, poi» (J. Panksepp, L. Biven, 2012, p. 226). Ancora una volta le emozioni giocano un ruolo importante anche in questo processo: i ricordi più solidi sono, infatti, quelli connotati emotivamente.
ApprendereLa memoria, va sottolineato, non è una funzione unitaria e ne esistono diverse tipologie. Una distinzione importante è tra memoria procedurale, o implicita, e la memoria esplicita. La prima è quella legata, soprattuto, alle conoscenze pratiche, come il saper nuotare o l’andare in bici; la seconda, invece, comprende la memoria dichiarativa, appresa attraverso lo studio o l’esperienza, la memoria autobiografica, legata ai ricordi importanti per noi, e la memoria fattuale, formata dai ricordi episodici.
La memoria non corrisponde ad una variazione sinaptica: il ricordo non corrisponde ad un particolare neurone o ad un collegamento tra determinati neuroni. La memoria deve essere vista come una funzione di sistema dovuta all’interazione di reti multidimensionali che coinvolgono gruppi di neuroni. I ricordi, pertanto, sono «necessariamente associativi e non sono mai identici» (G. Edelman, 2004, p. 45). Tale sistema dinamico è influenzato, quindi, dai vari sistemi sensoriali, dai sistemi emotivi e dalle altre funzioni superiori.

Come migliorare l’apprendimento?

Per migliorare l’apprendimento è necessario tenere in conto, innanzitutto, dell’aspetto emotivo. Si parla spesso di filtro affettivo, cioè quella barriera emotiva che impedisce al cervello di operare al pieno delle sue funzioni. Sappiamo oggi, da studi scientifici, che un coinvolgimento emotivo migliora l’apprendimento e lo rende stabile nel tempo. Quindi è importante appassionare, incuriosire, entusiasmare gli studenti se vogliamo che imparino meglio e in modo duraturo.
Gli studi sulla memoria suggeriscono, inoltre, un approccio allo studio multidimensionale, utilizzando vari canali e sensi per veicolare le informazioni (immagini, letture, audio ecc…).
In questa concezione, la comprensione dell’argomento e il collegamento con le altre conoscenze sono di grande sostegno all’apprendimento, dal momento che moltiplicano gli accessi alla conoscenza.
Il coinvolgimento emotivo, la multidimensionalità e la guida nella comprensione sono tre pilastri fondamentali per un apprendimento efficace: laddove uno di tali aspetti dell’insegnamento venisse depotenziato (ad esempio a causa di difficoltà cognitive che riducono la capacità di comprensione o nei casi in cui la multidimensionalità sia ridotta) è necessario concentrare gli sforzi nel potenziare maggiormente gli altri due pilastri, e soprattutto curare l’aspetto emotivo. Perché, come scrisse Plutarco, «la mente non è un vaso da riempire ma un legno da far ardere».


Bibliografia:

Share