Il movimento in Aristotele

La questione del movimento in Aristotele è centrale per comprendere la sua ontologia, nonché per penetrare la struttura della sua fisica e della metafisica. Aristotele tratta i concetti di movimento e cambiamento in maniera intercambiabile e identifica quattro tipologie principali di movimento: il movimento sostanziale, il movimento qualitativo, il movimento quantitativo e il movimento locale.

Movimento in Aristotele

Terminologia e struttura della Fisica di Aristotele

Nella traduzione e cura della Fisica di Aristotele da parte di Luigi Ruggiu, edita dalla Mimesis, vengono esplicitamente indicati i termini greci “kynesis” e “metabolé” come sinonimi . Scrive, infatti, Ruggiu: «ciò che indichiamo con il termine “movimento” e che traduce i due significati che Aristotele spesso usa in modo indifferenziato e quasi come sinonimi, e cioè kynesis e metabolé, ricomprende in sé tutte le diverse forme di movimento – generazione e corruzione, alterazione, crescita e diminuzione, traslazione – e cioè rispettivamente – adottando le categorie come schema di riferimento -, il movimento secondo la sostanza, quello secondo la quantità o la qualità o il luogo».  Sempre nel saggio introduttivo all’opera di Aristotele si legge una scansione dei vari libri riconducibili alla Fisica aristotelica: «lo stesso Aristotele ritiene che nella Fisica vi siano due parti essenziali, l’una rivolta alla trattazione del problema dei “principi”, l’altra all’aspetto più specifico del “movimento”. Del primo, fanno parte il primo libro, dedicato alla individuazione dei principi primi del movimento – il sostrato e i due contrari, cioè forma e privazione; il secondo libro, che assume un nuovo inizio e che tratta della physis come principio delle cose che hanno in se stesse il principio del movimento, e quindi della physis come espressione di “causa” nella quadruplice articolazione di causa materiale, causa formale, causa efficiente e causa finale. Infine, il terzo e quarto libro, che, dopo un’analisi del significato che il divenire in quanto tale riveste, prendono in esame gli aspetti strutturali comuni ad ogni realtà che è nel divenire, e cioè rispettivamente l’infinito, lo spazio, il vuoto e il tempo. Il V e il VI libro affrontano la questione del continuo, il quale costituisce una sorta di meta-struttura in quanto è presente in tutti i momenti che caratterizzano il divenire. L’ottavo libro si propone infine la dimostrazione del Motore Immobile come principio primo dal quale il movimento dipende. Il libro settimo mostra una struttura del tutto autonoma rispetto a questo coerente disegno generale, approfondendo una serie di problemi specifici». (cfr. Aristotele, Fisica, Mimesis, Milano, 2007, pp. XVI, XXI-XXII, e in generale da XV a LXVI relative al saggio introduttivo del curatore Luigi Ruggiu)

Fisica V è forse l’unico luogo dove movimento e mutamento vengono distinti in modo più chiaro, che però non rispecchia gran parte della sua trattazione. Alcuni studiosi come Cambiano sostengono che kinesis viene impropriamente tradotto con ‘movimento’, perché il movimento in senso proprio è soltanto quello secondo il luogo. Infatti, nel testo Storia della filosofia occidentale, curato da Giuseppe Cambiano, Luca Fonnesu e Massimo Mori, per quanto riguarda la fisica di Aristotele, nel capitolo curato da Luciana Repici, si legge: «In quanto conoscenza causale di quel particolare tipo di essere che è l’essere in movimento e/o mutamento, la fisica conosce i suoi oggetti secondo il quadruplice paradigma comprendente causa materiale, causa efficiente, causa formale e causa finale. Si tratta ora di sapere che cos’è il movimento e/o mutamento e quali e quanti sono i suoi tipi». Il testo, quindi, tratta i termini mutamento e movimento come sinonimi e intrinsecamente legati. La trattazione prosegue così: «Non esiste infatti movimento e/o mutamento al di fuori delle cose che sono in movimento e/o mutamento; quindi, per sapere che cos’è movimento e/o mutamento bisogna indagare in quali e quanti modi le cose sono e si dicono di essere. Ma questi modi si articolano secondo le diverse categorie (la sostanza, la quantità, la qualità ecc…) […]. Primario come nel caso dell’essere secondo le diverse categorie è il movimento sostanziale, ossia il venire ad essere (generazione) e il cessare di essere (corruzione) di una sostanza, come nel caso della nascita o della morte di un uomo. È questo un movimento primario nel senso che, come le altre categorie esistono in funzione della sostanza e in quanto suoi predicati, così anche gli altri tipi di movimento e/o mutamento non possono esistere senza la sostanza di cui sono proprietà. Solo di qualcosa che è si può dire che si muove o muta secondo le altre categorie, in primo luogo quantità e qualità. […] Ma, oltre ad accrescersi, diminuire e alterarsi, una sostanza può anche spostarsi di luogo» (cfr. G. Cambiano, L. Fonnesu, M. Mori, Storia della filosofia occidentale/1, Dalla Grecia antica ad Agostino, Il Mulino, Bologna, 2014, pp. 186-187). Pertanto, come si evince, per i curatori i movimenti sono quattro e, inoltre, la sostanza non è un movimento di secondo ordine. 

L’Interconnessione tra Fisica e Metafisica

Nel testo Storia della filosofia antica, curato da Franco Trabattoni, innanzitutto si riconosce la compenetrabilità dei due testi aristotelici, Metafisica e Fisica, circa le questioni di fisica. Scrive, infatti, Trabattoni: «la fisica e la filosofia prima non possono essere considerate due scienze del tutto separate, e dunque esclusive una dell’altra. Al contrario, dal momento che la fisica studia i principi generali della realtà con la sola eccezione di ciò che vale esclusivamente per le sostanze immobili, una buona parte del lavoro che essa svolge è incorporato dalla stessa filosofia prima». Parlando, poi, del movimento, Trabattoni afferma: «Quasi all’inizio della Fisica Aristotele spiega che le cose che sono per natura, come risulta da semplice induzione, sono o tutte o in parte soggetto a mutamento (Phys. I 2 185° 12-14) […] Aristotele spiega che gli enti per natura sono quelli che possiedono un principio di movimento interno (Phys. II 1 192b 13-15), ossia che hanno una certa disposizione a muoversi». Trabattoni usa come sinonimi movimento e mutamento. Importante, per il nostro assunto, è però il passo di poco successivo «Non esiste però un unico genere di mutamento. Aristotele, sfruttando la sua dottrina delle categorie, ne individua quattro (Phys III 1 200b 12-201a 9; De gen. Et corr. I capp. 1-5): 1. Secondo la sostanza, che corrisponde alla generazione e corruzione (se una cosa muta secondo la sostanza, ciò che muta è la sua essenza, dunque si distingue dando origine a un’altra cosa); 2. Secondo la qualità (alterazione); 3. Secondo la quantità (aumento e diminuzione); 4. Secondo il luogo (moto locale)» (Cfr. Franco Trabattoni, a cura di, Storia della filosofia antica II Platone e Aristotele, Carocci editore, Roma, 2019, pp. 216, 221). 

Interpretazione simile è offerta da Giovanni Reale, filosofo esperto di filosofia antica, che nella sua opera dedicata ad Aristotele scrive: «La seconda scienza teorica per Aristotele è la “fisica” o “filosofia seconda”, la quale ha come oggetto di indagine la realtà sensibile, intrinsecamente caratterizzata dal movimento, così come la metafisica ha ad oggetto la realtà soprasensibile, intrinsecamente caratterizzata dalla mancanza assoluta di movimento». Scrive, ancora, Reale, che la fisica di Aristotele «non è una scienza quantitativa della natura, ma una scienza qualitativa: paragonata alla fisica moderna, quella di Aristotele risulta, più che una “scienza”, una “ontologia” o “metafisica” del sensibile. […] Non sarà, dunque, motivo di stupore il fatto che si trovino nei libri di Metafisica abbondanti considerazioni fisiche (nel senso precisato) e, viceversa, nei libri di Fisica abbondanti considerazioni di carattere metafisico, giacché gli ambiti delle due scienze sono strutturalmente intercomunicanti». Fatta tale introduzione al tema, confrontandola con la concezione platonica e quella di Parmenide, Reale afferma successivamente: «il movimento (e il mutamento in genere) è precisamente il passaggio dall’essere in potenza all’essere in atto (il movimento è l’atto o l’attuazione di ciò che è in potenza in quanto tale, dice Aristotele)» e a supporto di tale affermazione riporta i riferimenti ai testi di Aristotele, sia della Fisica (Γ 1, 201 a 10 sg.) che della Metafisica (K 9, 1065 b 33). Dal momento che, sostiene Reale, «potenza e atto riguardano le varie categorie e non solo la prima. Per conseguenza, anche il movimento, che è passaggio dalla potenza all’atto, riguarderà le varie categorie (tutte le categorie o le principali)». Anche a supporto di tale interpretazione Reale cita i passi di Aristotele, tratti dal libro della Fisica (Γ 1.2) e Metafisica (K 9). Dopo aver escluso alcune categorie, Reale conclude affermando che «Restano le categorie: 1) della sostanza 2) della qualità, 3) della quantità, 4) del luogo, ed è proprio secondo queste categorie che avviene il mutamento». Reale arriva, poi, a distinguere tra mutamento e movimento (senza, tuttavia, citare la fonte in base alla quale opera tale distinzione) ma subito dopo lega nuovamente divenire e movimento, affermando che «la struttura ilemorfica della realtà sensibile, che necessariamente implica materia e potenzialità, è dunque la radice di ogni movimento», riportando il riferimento ad Aristotele, relativo a Fisica A, 5sgg. E 1-2. (cfr. Giovanni Reale, Introduzione a Aristotele, Editori Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 72-76)

Osservazioni conclusive

La tesi che in Aristotele i termini ‘movimento’ e ‘cambiamento’ siano utilizzati in modo intercambiabile sembra trovare ampio sostegno nella letteratura secondaria. Oltre a questo, emerge un consenso sul fatto che vi siano quattro tipi principali di movimento, in accordo con le categorie aristoteliche. Questa pluralità di tipi di movimento e la loro articolazione in relazione alle categorie offrono una struttura ontologica e metafisica complessa, che continua ad essere di fondamentale importanza per la filosofia occidentale.

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Zenone

Zenone di EleaZenone, figlio di Teleutagora, nasce nel 489 a. C. a Elea. Zenone è scolaro e amico di Parmenide. Numerosi fonti sottolineano la sua intelligenza, la prestanza fisica, le sue doti da filosofo e da uomo politico. Generoso, buono e disprezzatore dei potenti, così come Eraclito.

Diodoro ci dice che dato che la sua patria è stata ridotta in servitù dal tiranno Nearco, Zenone si mette a capo di una cospirazione. Questo gruppo di ribelli, però, viene intercettato e lui è fatto prigioniero. In prigionia viene sottoposto a torture e mentre gli viene richiesto di svelare i nomi dei complici, lui chiede al tiranno di avvicinarsi per rivelare i nomi ma non appena il tiranno si avvicina Zenone gli morde l’orecchio e le guardie lo uccidono.

Zenone di EleaDiogene, invece, ci dice che Zenone, catturato e sottoposto a tortura, non volendo rivelare il nome dei complici, si morde la lingua e la sputa in faccia al tiranno. Questo gesto dà coraggio ai cittadini che uccidono il tiranno a sassate.

La versione di Stolero dice che Zenone sottoposto ai tormenti della tortura dal tiranno affinché riveli i nomi dei complici risponde: «se ve ne fossero credi che saresti ancora tiranno?»

In ogni caso, il sacrificio di Zenone porterà alla fine della tirannia di Nearco.

Secondo Tertulliano, a Zenone viene chiesto quale sia il vantaggio della filosofia e lui avrebbe risposto: il disprezzo della morte.

Filone, ci presenta una sentenza di Zenone: «sarebbe più facile mandare a fondo un otre pieno d’aria che costringere contro la sua volontà una persona virtuosa a compiere un’azione sconveniente».

Per Plutarco, infine, Zenone avrebbe ricordato che l’ambizione per la gloria non è un desiderio da mortificare, mentre l’esperienza della bellezza deve essere coltivata. Perché è questa esperienza è capace di dare slancio alla personalità.

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Parmenide

ParmenideParmenide nasce a Elea, una colonia greca sulla costa della Campania a sud di Paestum (successivamente denominata Velea e poi Velia), e vive tra il 550 e il 450 a. C. La città di Elea era stata colonia fenicia.
Parmenide è figlio di Pireto e di famiglia nobile. Il filosofo è discepolo di Xenofone anche se il suo vero maestro sarebbe stato Animia, uomo povero ma di animo nobile, cui Parmenide avrebbe dedicato un monumento funebre. Animia era un maestro pitagorico.

Parmenide è il legislatore che dà la costituzione alla propria città a cui ogni anno i cittadini prestavano giuramento.

Parmenide istituisce una scuola e tra i suoi eredi troviamo Empedocle di Agrigento e il suo discepolo Zenone di Elea. Di Parmenide e Zenone è ricordato un viaggio che avrebbe portato i due esponenti della scuola in Atene durante la celebrazione delle feste panatenee. Parmenide, nel suo viaggio è ormai anziano mentre l’altro viene descritto da Proclo in età giovane e di bello aspetto.
Platone dice che in Atene sono ospitati nella casa di Pitodoro, nel quartiere ceramico, e lì incontrano il giovanissimo Socrate.

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