Stout M., 2005, The sociopath next door, New York, Brodway Books.
Sono individui apparentemente come tutti gli altri: uomini e donne di successo, mariti, mogli, genitori. Eppure non provano alcuna remora per le proprie azioni, non sentono alcun imperativo morale e non sono in grado di amare: sono senza coscienza, sono sociopatici.
L’individuo sociopatico riconosce la propria diversità ma non vive come dramma questo stato anaffettivo. Allo stesso tempo, però, sperimenta una profonda noia che cerca di esorcizzare mediante frequenti stimolazioni, anche con l’uso di sostanze, e attraverso l’esercizio della dominanza sociale, con comportamenti predatori che mettono in atto soprattutto verso i soggetti più brillanti. I sociopatici tendono a manipolare e controllare, fingendo sentimenti e giocando con quelli degli altri e vivono il rapporto con gli altri considerando soprattutto i vantaggi che tali rapporti permettono. Nonostante tale forza, tali individui tendono a voler essere compatiti e mostrarsi come vittime.
Generalmente tali persone vivono nomalmente in società: la Stout afferma che ben il 4% della popolazione degli Stati Uniti sarebbe sociopatico, ma solo il 20% dei detenuti in carcere lo è. Eppure l’assenza di senso morale e di rimorso, la tendenza a manipolare e l’istinto alla dominazione sociale rendono i sociopatici dei soggetti pericolosi, sia per gli individui che per la tenuta della società stessa. A questa duplice questione, a livello individuale e a livello comunitario, la Stout dà una duplice risposta.
La risposta individuale
Dal punto di vista psicologico, Martha Stout propone delle regole per gestire i rapporti con un sociopatico:
- per prima cosa «accettare che alcuni individui letteralmente non hanno coscienza»;
- in un conflitto tra ciò che sulle persone ci dice l’istinto e ciò che ci dice il ruolo che ricoprono è meglio «seguire gli istinti»;
- in ogni nuovo rapporto «praticare la regola dei tre»: tre bugie, o tre promesse infrante o tre responsabilità negate sono una dimostrazione dell’assenza di coscienza;
- le persone con la coscienza tendono, in netta maggioranza, a seguire ciecamente l’autorità. Importante, quindi, è che le restanti persone con la coscienza mettano in discussione ogni autorità;
- «sospettare dell’adulazione»;
- «se necessario, ridefinite il vostro concetto di rispetto». Questo non va confuso con la paura e chi sfrutta questo sentimento non sta esercitando una forma di rispetto;
- non giocare mai al gioco dei sociopatici e non competere con loro:
- «il modo migliore per proteggere te stesso da un sociopatico è evitarlo» e «rifiutare ogni forma di contatto o comunicazione»;
- «mettete in discussione la vostra tendenza a compatire troppo facilmente»;
- «non provare a redimere l’irridemibile»;
- non aiutare «un sociopatico a nascondere il suo vero carattere»;
- difendete la vostra psiche;
- vivere bene è la migliore vendetta. (M. Stout, 2000, pp. 156-161).
La risposta culturale
La sociopatia è legata per il 50% al patrimonio genetico e per il restante 50% a fattori educativi, sociali e culturali, dove quelli culturali sono quelli più rilevanti. Dal punto di vista sociale, Martha Stout sottolinea come una cultura individualistica, come quella occidentale, possa premiare socialmente i sociopatici, permettendo una loro pericolosa scalata sociale. Infatti individui sociopatici sono sicuramente presenti anche nelle culture orientali, ma lì la dimensione sociale e l’importanza del gruppo costituiscono una forte spinta alla collaborazione.
Volendo trovare una prospettiva positiva in questo testo, possiamo sicuramente considerare l’importanza di orientare la costra educazione verso una maggiore responsabilità sociale e cura degli altri. Quella de Frans De Waal chiama una nuova età: l’età dell’empatia (F. De Waal, 2009).