39 sono le attività che durante lo shabbat sono vietate. Lo shabbat, il sabato, per gli ebrei è un giorno particolare. Il precetto di santificare questo giorno sta, tra i comandamenti, nella lista dei doveri verso Dio, nella prima delle due tavole. Idealmente, lo shabbat rappresenta la festa dell’esistenza del mondo. La Genesi ci dice che il settimo giorno Dio si riposò e usa il termine shavat, cessare/smettere, da cui il termine shabbat. Tanto è importante questo giorno che viene anche chiamato Shabbat Hamalkà (la regina Shabbat), perché deve essere accolto e ci si deve preparare proprio come se stesse arrivando una regina.

L’esaltazione di questo giorno non ci deve far credere che per gli ebrei il riposo sia più importante del lavoro, come una contrapposizione otium e negotium, dove il negotium rappresenti quasi un male minore da sopportare. Infatti, come il Talmud e i detti rabbinici riportano, è dovere dell’uomo lavorare, per guadagnarsi da vivere e per mantenere l’ordine sociale: “è più grande chi gode del frutto del suo lavoro, che chi teme il Cielo”; “chi non ha lavorato non mangerà” (che risuona nelle parole di Paolo di Tarso “chi non lavora neppure mangi”); “ama il lavoro”; “il lavoro onora i lavoratori”.
Lo shabbat si comprende, allora, come un limite all’uomo inteso come creatore del proprio destino, homo faber. L’obbligo del riposo e della celebrazione si impone allo stesso modo a uomini e donne, genitori e figli, padroni e servi. In questo giorno, in tal modo, si fa esperienza di giustizia, uguaglianza e armonia, come una anticipazione della condizione del paradiso. Tutti sono chiamati a fermarsi e a osservare e celebrare la creazione, Dio e a condividere con gli altri.
I lavori (“melachot“) proibiti sono articolati in modo preciso:
– Arare;
– Seminare;
– Mietere;
– Formare covoni;
– Trebbiare;
– Ventilare;
– Selezionare;
– Setacciare;
– Macinare;
– Impastare;
– Cuocere;
– Tosare;
– Lavare;
– Cardare;
– Tingere;
– Filare;
– Tendere;
– Costruire un setaccio;
– Tessere;
– Dividere due fili;
– Legare;
– Slegare;
– Cucire;
– Strappare;
– Cacciare;
– Macellare;
– Scuoiare;
– Salare la carne;
– Disegnare;
– Lisciare;
– Tagliare;
– Scrivere;
– Cancellare;
– Costruire;
– Demolire;
– Spegnere un fuoco;
– Accendere un fuoco;
– Dare l’ultima mano per terminare un lavoro;
– Trasportare al di fuori della propria abitazione;
Queste attività vanno intese come categorie di attività. In molti casi sono attività che danno luogo a qualcosa che rimane anche dopo che la nostra azione termina o che hanno a che fare con il commercio, i viaggi e gli scambi.
Il filosofo ebreo Abraham Joshua Heschel scrive dello shabbat:
“La Creazione, ci insegnano, non è un atto che successe una volta nel tempo, una sola volta e per sempre. L’atto di portare il mondo in essere è un processo continuo. Dio ha chiamato il mondo ad esistere, e tale chiamata continua. C’è questo preciso istante perché Dio è presente. Ogni istante è un atto di creazione. Ogni momento non è terminale ma una scintilla, un segnale di Principio. Il tempo è un’innovazione perpetua, un sinonimo di creazione continua. Il tempo è il dono di Dio al mondo dello spazio.[…]
Nello Shabbat ci è dato di condividere la santità che risiede nel cuore del tempo. Anche quando l’anima è angosciata, anche quando nessuna preghiera può uscirci di gola nel dolore, il puro riposo silente dello Shabbat ci porta nel reame di una pace senza fine, o all’inizio di una consapevolezza di ciò che l’eternità significa.”
Bibliografia:
Cohen Abraham (tr. it. A. Toaff), 1999,
Il Talmud, Roma, Laterza
Stefani Piero, 1997,
Gli ebrei, Bologna, Il Mulino