Se avessi un solo giorno ancora da vivere

Se avessi un solo giorno ancora da vivere” cosa farei? È una situazione irreale eppure può aiutarci a vivere più intensamente la nostra vita. Se avessi un solo giorno ancora, scrive Grün, “penserei prima di tutto a quali persone mi piacerebbe incontrare”, che è un po’ come chiedersi quali sono le persone più importanti per noi e “nell’incontro di fronte alla morte sboccia il mistero di questa amicizia, il mistero dell’amore, che è più forte della morte”. Cosa mi rimarrebbe da fare? Quali conflitti rimangono in sospeso? Quali cose vorrei che fossero portate avanti? Si deve ricordare che non tutto può essere risolto in un giorno. Chiederei scusa e perdonerei ciò che mi è stato fatto, per avere il cuore leggero. Ma “la morte mi libera anche dall’obbligo di dovermi giustificare di fronte a tutti”.

Se avessi un solo giorno ancora da vivere

Leggendo questo libercolo di Anselm Grün queste sono state le frasi che più mi hanno colpito: “la mia morte mostrerà anche quanta durezza e quanta irriconciliazione vi era in me. […] Ma io non rinnegheró me stesso e non perderò il rispetto per me stesso, pregando tutti e mendicando perché accettino il mio perdono […]. Io voglio morire in libertà, anche nella libertà dall’obbligo di rendermi comprensibile a tutti”. 
La morte dona leggerezza e libertà. È liberatorio pensare che “non devo ancora voler salvare il mondo con i buoni consigli. Non devo più rendere felici le persone con la mia sapienza”. Comprendendo questo, allora la morte diventa un maestro che ci dice: “smettila di giudicarti! Non è affatto importante che tu sia buono o cattivo di fronte a te e agli altri. Tu sei amato”. Io sono amato.

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Lo shabbat

Shabbat
39 sono le attività che durante lo shabbat sono vietate. Lo shabbat, il sabato, per gli ebrei è un giorno particolare. Il precetto di santificare questo giorno sta, tra i comandamenti, nella lista dei doveri verso Dio, nella prima delle due tavole. Idealmente, lo shabbat rappresenta la festa dell’esistenza del mondo. La Genesi ci dice che il settimo giorno Dio si riposò e usa il termine shavat, cessare/smettere, da cui il termine shabbat. Tanto è importante questo giorno che viene anche chiamato  Shabbat Hamalkà (la regina Shabbat), perché deve essere accolto e ci si deve preparare proprio come se stesse arrivando una regina.
Shabbat
L’esaltazione di questo giorno non ci deve far credere che per gli ebrei il riposo sia più importante del lavoro, come una contrapposizione otium e negotium, dove il negotium rappresenti quasi un male minore da sopportare. Infatti, come il Talmud e i detti rabbinici riportano, è dovere dell’uomo lavorare, per guadagnarsi da vivere e per mantenere l’ordine sociale: “è più grande chi gode del frutto del suo lavoro, che chi teme il Cielo”; “chi non ha lavorato non mangerà” (che risuona nelle parole di Paolo di Tarso “chi non lavora neppure mangi”); “ama il lavoro”; “il lavoro onora i lavoratori”.
Lo shabbat  si comprende, allora, come un limite all’uomo inteso come creatore del proprio destino, homo faber. L’obbligo del riposo e della celebrazione si impone allo stesso modo a uomini e donne, genitori e figli, padroni e servi. In questo giorno, in tal modo, si fa esperienza di giustizia, uguaglianza e armonia, come una anticipazione della condizione del paradiso. Tutti sono chiamati a fermarsi e a osservare e celebrare la creazione, Dio e a condividere con gli altri.  
I lavori (“melachot“) proibiti sono articolati in modo preciso:
 
– Arare;
– Seminare;
– Mietere;
– Formare covoni;
– Trebbiare;
– Ventilare;
– Selezionare;
– Setacciare;
– Macinare;
– Impastare;
– Cuocere;
– Tosare;
– Lavare;
– Cardare;
– Tingere;
– Filare;
– Tendere;
– Costruire un setaccio;
– Tessere;
– Dividere due fili;
– Legare; 
– Slegare;
– Cucire;
– Strappare;
– Cacciare;
– Macellare;
– Scuoiare;
– Salare la carne;
– Disegnare;
– Lisciare;
– Tagliare;
– Scrivere;
– Cancellare;
– Costruire;
– Demolire;
– Spegnere un fuoco;
– Accendere un fuoco;
– Dare l’ultima mano per terminare un lavoro;
– Trasportare al di fuori della propria abitazione;
 
Queste attività vanno intese come categorie di attività. In molti casi sono attività che danno luogo a qualcosa che rimane anche dopo che la nostra azione termina o che hanno a che fare con il commercio, i viaggi e gli scambi.
 
Il filosofo ebreo Abraham Joshua Heschel scrive dello shabbat:
 
“La Creazione, ci insegnano, non è un atto che successe una volta nel tempo, una sola volta e per sempre. L’atto di portare il mondo in essere è un processo continuo. Dio ha chiamato il mondo ad esistere, e tale chiamata continua. C’è questo preciso istante perché Dio è presente. Ogni istante è un atto di creazione. Ogni momento non è terminale ma una scintilla, un segnale di Principio. Il tempo è un’innovazione perpetua, un sinonimo di creazione continua. Il tempo è il dono di Dio al mondo dello spazio.[…]
Nello Shabbat ci è dato di condividere la santità che risiede nel cuore del tempo. Anche quando l’anima è angosciata, anche quando nessuna preghiera può uscirci di gola nel dolore, il puro riposo silente dello Shabbat ci porta nel reame di una pace senza fine, o all’inizio di una consapevolezza di ciò che l’eternità significa.”
 

Bibliografia:
Cohen Abraham (tr. it. A. Toaff), 1999, Il Talmud, Roma, Laterza
Heschel Abraham Joshua (tr. it. L. Mortara), 2018, Il sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, Milano, Garzanti
Stefani Piero, 1997, Gli ebrei, Bologna, Il Mulino
 
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