Aristotele

Metafisica

Nel corpus di opere tramandate di Aristotele, la Metafisica occupa un posto centrale, delineando gli aspetti più profondi della filosofia e del pensiero occidentale. Quest’opera cruciale, il cui nome in greco deriva da “metà tà fysikà”, indica ciò che sta al di là della fisica, non porta un titolo coniato direttamente da Aristotele, ma è frutto dell’organizzazione sistematica effettuata da Andronico di Rodi nel I secolo d.C. Aristotele, nel suo approccio, preferiva riferirsi a questa branca della filosofia come “filosofia prima”.

Significato del termine

Il titolo Metafisica può essere interpretato secondo due diverse angolature:

  • Un’opera che segue cronologicamente gli scritti dedicati alla fisica, offrendo un’indagine più profonda e trascendentale delle questioni abbozzate in tali testi.
  • Un’indagine che va alla ricerca delle origini strutturali della verità, cercando di svelare i principi ultimi che regolano l’esistenza e la realtà.

L’opera

La Metafisica di Aristotele si erge come un’opera di notevole complessità, ma fondamentale nell’ambito della filosofia occidentale, essendo radicata profondamente nella tradizione filosofica greca, la quale costituisce le fondamenta e l’asse portante della filosofia occidentale. È importante sottolineare che, nel campo della filosofia, non si possono decretare teorie come concettualmente obsolete, in quanto la ricerca filosofica è un processo continuo e cumulativo.

Indagine sull’essere

Aristotele, nel suo trattato, articolato e profondo, propone quattro definizioni distinte della metafisica:

  • Una disciplina che indaga le cause prime e i principi fondamentali dell’esistenza.
  • Uno studio dell’essere in quanto tale, una ricerca che va oltre le manifestazioni superficiali della realtà.
  • Un’indagine approfondita sulla sostanza, l’essenza inalterabile che sta alla base di tutte le cose.
  • Un esame di Dio e della sostanza immutabile, che sono visti come i pilastri sostenenti la realtà.

La metafisica, pertanto, analizza l’essere in una dimensione generale, fungendo da fondamento per tutta la realtà. Le tre scienze teoretiche delineate da Aristotele – la metafisica, la fisica e la matematica – condividono un oggetto di studio, l’essere, sebbene da prospettive differenti:

  • La matematica lo esamina come quantità, cercando di comprendere la sua struttura numerica.
  • La fisica lo investiga come entità in movimento, focalizzandosi sulle sue dinamiche e trasformazioni.
  • La metafisica lo scruta in quanto essere, tentando di penetrare la sua essenza più profonda.

Le categorie dell’essere

Aristotele identifica una pluralità di modi in cui l’essere si manifesta e può essere espresso. Per facilitare questa indagine, individua una serie di categorie fondamentali, che rappresentano le qualità intrinseche che ogni ente possiede e deve necessariamente manifestare. Queste categorie comprendono:

  • Sostanza: la struttura fondamentale che definisce un’entità (esempio: un albero. Esso rappresenta una sostanza individuale che, nel suo insieme, incarna una realtà distinta e indipendente con una propria identità)
  • Qualità: le proprietà e le caratteristiche che definiscono un’entità (esempio: il colore verdeggiante delle foglie di un albero durante la primavera. La qualità, in questo caso, evidenzia una particolare caratteristica che contribuisce a definire l’entità in esame).
  • Quantità: l’aspetto numerico che può essere attribuito a un’entità (esempio: un frutteto composto da venti alberi di melo. Qui, la quantità è manifesta nel numero di alberi che costituiscono il frutteto, conferendo una determinata estensione alla realtà considerata).
  • Relazione: le connessioni e i rapporti che un’entità intrattiene con altre entità e individui (esempio: l’interazione simbiotica tra un albero e i funghi micorrizici presenti nel suolo circostante. Questa relazione mette in luce la connessione e l’interdipendenza tra diverse entità nell’ecosistema).
  • Luogo: il contesto spaziale in cui si trova un’entità (esempio: un bosco situato in una vallata tra due montagne. Il luogo qui definisce il contesto spaziale in cui l’albero, o il gruppo di alberi, è situato, delineando un quadro geografico preciso).
  • Tempo: il contesto temporale in cui un’entità esiste (esempio: un ciliegio che fiorisce all’inizio della primavera. Il tempo, in questo caso, indica una specifica fase temporale che caratterizza un evento ciclico nella vita dell’entità considerata).
  • Agire: le azioni e le attività che un’entità può intraprendere (esempio: un albero che assorbe anidride carbonica e rilascia ossigeno attraverso il processo di fotosintesi. L’agire descrive le dinamiche attive dell’entità, delineando le azioni che compie nell’ambiente circostante).
  • Subire: le reazioni e le risposte che un’entità può manifestare (esempio: un albero che subisce una potatura per favorire una crescita più equilibrata e sana. Il “subire” illustra le modifiche o le influenze che l’entità riceve dall’esterno).
  • Avere: le proprietà e le risorse che un’entità può possedere (esempio: un albero di mango che possiede una ricca chioma piena di frutti succulenti. L'”avere” esemplifica le proprietà o gli attributi che l’entità detiene in un dato momento).
  • Giacere: le modalità e le condizioni in cui un’entità può trovarsi (esempio: una vecchia quercia che si erge maestosa in un prato, con i suoi rami che si estendono ampiamente nello spazio circostante. “Giacere” mette in evidenza le modalità e le condizioni in cui l’entità si trova in un dato contesto, sia in termini di postura che di situazione più ampia).

Di tutte queste, la categoria della sostanza assume un ruolo preminente, in quanto costituisce la premessa e il fondamento di tutte le altre categorie, incarnando l’essenza irriducibile e centrale dell’essere.

La sostanza

Nella comprensione della realtà, Aristotele adotta una posizione critica nei confronti della prospettiva platonica, palesando delle divergenze significative nelle loro rispettive ontologie. Nella sua analisi, lo stagirita mette in risalto alcune lacune e contraddizioni nella teoria delle Idee di Platone, delineando una sua personale e innovativa concezione della sostanza.

La critica a Platone

Aristotele contrappone alla linea idealistica di Platone una visione più radicata nella realtà concreta. Egli sostiene che l’universo platonico è composto da mere ombre, simulacri o copie, senza spiegazioni convincenti sul processo di generazione di tali “ombre”. In questo universo, sussiste una mancanza di separazione definita, dando vita a una serie di aporie infinite e irrisolvibili. Aristotele accusa Platone di aver duplicato inutilmente la realtà, creando un dominio di idee separate che, in ultima analisi, non contribuisce a una comprensione profonda dell’essere.

Definizione di sostanza

Aristotele, nel suo approccio, predilige l’ontologia della sostanza. Nella sua visione, la sostanza è connessa all’essere e all’ente, che rappresenta l’individuo o l’entità singola esistente. Questo riferimento all’individuo non è solo metafisico, ma si radica profondamente nell’esperienza sensibile quotidiana. L’essere è ciò che incontriamo concretamente nel nostro vissuto, costituendo la realtà palpabile che ci circonda. In questo modo, Aristotele fornisce una definizione di sostanza come l’individuo concreto che possiede specifiche qualità e che può fungere da soggetto logico in varie proposizioni. Egli usa anche l’espressione greca “todè ti” per indicare la natura immediata e particolare della sostanza, che può essere tradotto come “questo qui”.

Classificazione delle sostanze

Aristotele prosegue distinguendo due principali tipologie di sostanze: prime e seconde. Le sostanze prime, o individuali, possono funzionare esclusivamente come soggetto di una proposizione, senza mai assumere il ruolo di predicato. Nella lingua quotidiana, corrispondono ai nomi propri, indicando singoli individui. D’altro canto, le sostanze seconde possiedono una maggiore flessibilità, potendo operare sia come soggetto che come predicato, trovando un parallelo con i nomi comuni nel linguaggio di tutti i giorni. Queste sostanze possono essere distinte in termini di generalità, variando da concetti più specifici a quelli più generali.

La dualità della sostanza: sinolo, materia e forma

Procedendo più in profondità, Aristotele identifica ogni sostanza come un insieme (sinolo) di qualità distintive e intrinseche. Questa unione è formata dalla commistione di materia e forma, dove la materia rappresenta l’elemento sensibile e tangibile, mentre la forma costituisce l’essenza intellegibile che definisce l’essere di quella sostanza. Questa dualità è centrale per comprendere come l’intelletto umano possa cogliere e interagire con la realtà circostante, differendo radicalmente dalla teoria platonica della conoscenza pre-esistente. Nella struttura della sostanza, la forma assume una significativa preminenza, delineando le caratteristiche fondamentali dell’essere, mentre gli accidenti rappresentano qualità accessorie e variabili.

Le quattro cause

Per spiegare la natura delle cose, Aristotele propone una teoria delle quattro cause che delineano l’esistenza di una cosa. Queste sono:

  • la causa materiale, che riguarda il materiale fisico di cui è composta una cosa;
  • la causa formale, che rappresenta l’essenza o il modello di quella cosa;
  • la causa efficiente, che si riferisce all’origine o all’inizio della sua esistenza;
  • la causa finale, che esprime lo scopo o la finalità per cui quella cosa esiste.

In questa quadripartita struttura causale, la sostanza emerge come la causa fondamentale dell’essere, orchestrando le dinamiche e le interazioni tra le altre cause per creare una realtà coesa e strutturata.

Il divenire

Il concetto di “divenire” in Aristotele ha radici profonde e articolate, costituendo uno degli aspetti nodali della sua filosofia.
Nel complesso panorama della filosofia aristotelica, il divenire occupa una posizione di centralità, indicando il processo attraverso il quale le cose mutano e si trasformano. A differenza di Parmenide, che negava la possibilità del divenire visto come il passaggio dal non essere all’essere, Aristotele intende il divenire come un mutamento di qualità dell’essere, uno sviluppo orientato e non casuale, in cui il divenire stesso rappresenta una forma di essere, sebbene in una connotazione diversa. Per Parmenide è impossibile pensare il divenire perché, sostiene, è impossibile pensare a qualcosa che non è e che poi è. Aristotele risponde che questo è vero solo se pensiamo il divenire come il passaggio dal non essere all’essere, ma il divenire è in realtà il passaggio da essere di un certo tipo a essere di un altro tipo . Quindi il divenire è sempre essere, anche se diverso. Pertanto il divenire è un modo di essere. In altre parole, ciò che diviene, trasmuta da un tipo di essere a un altro, seguendo un ordine e una finalità determinata.

Potenza e atto: i pilastri del divenire

Nel descrivere il processo di divenire, Aristotele introduce i concetti fondamentali di “potenza” e “atto“. La “potenza” (dynamis, in greco) rappresenta la possibilità intrinseca di un ente di evolversi, di mutare in qualcosa di nuovo, è la sua possibilità evolutiva. È la fase iniziale del processo, dove l’ente contiene in sé la capacità di manifestare trasformazioni. Al contrario, l'”atto” (energheia, in greco) rappresenta la realizzazione, il compimento di quella potenzialità, il momento in cui la trasformazione si completa, segnando un’evoluzione dallo stato di pura potenza a una forma più elevata e definita. Aristotele attribuisce una superiorità all’atto rispetto alla potenza, in quanto è l’atto che determina e guida il processo di divenire.

Entelechia: la realizzazione e il compiuto

Aristotele utilizza anche il termine “entelechia” per indicare il punto culminante del processo di divenire, in cui la potenzialità (potenza) trova la sua completa realizzazione (atto). È un momento di pieno compimento, dove non esiste più nulla da divenire, indicando un universo in movimento, che si trasforma continuamente dalla sua potenzialità evolutiva in atto. In questa visione, ogni ente mira a realizzare completamente ciò che è in potenza, in una dinamica che vede la materia come punto di partenza e la forma come culmine di un processo guidato e finalizzato.

Le molteplici sfaccettature dell’essere

La complessità del concetto di “essere” è articolata da Aristotele in quattro significative interpretazioni, che tuttavia convergono in un’unica realtà fondamentale. Il primo è l’essere inteso come accidente, ossia una qualità o una caratteristica che può essere presente o meno in un ente. Il secondo aspetto è l’essere inteso attraverso categorie, in particolare la sostanza, che rappresenta l’essenza più profonda e immutabile dell’ente. Il terzo punto di vista è l’essere inteso come verità, una dimensione che sottende una forma di autenticità e realtà. Infine, l’essere viene visto come una dinamica tra potenza e atto, una manifestazione del divenire che sottolinea la continua trasformazione e evoluzione della realtà.

La divinità

nell’imponente architettura della filosofia aristotelica, la figura divina emerge come il culmine del processo evolutivo di tutto ciò che esiste, un’entità che rappresenta la realizzazione compiuta di tutto ciò che deve divenire. Aristotele concepisce Dio come l’atto puro, un essere di assoluta perfezione, esente da bisogni o mancanze, che risiede al vertice della realtà cosmologica.

Dio come causa finale

Aristotele, nel suo approccio sistematico e analitico, indaga il fenomeno del movimento e postula l’esistenza di un ente che innesta il movimento senza esserne a sua volta mosso: il primo motore immobile.

Il filosofo, infatti, afferma che tutto ciò che si muove deve essere mosso da qualcosa ma questo qualcosa deve, a sua volta, essere mosso da qualcos’altro ecc… Tale processo non può essere infinito, perché non si spiegherebbe. Allora deve esistere qualcosa che muove ma non è mosso e questo è Dio. Dio è il primo motore immobile. Bisogna considerare che per Aristotele la materia non può essere causa del proprio movimento.

Questa entità, secondo Aristotele, non agisce come causa efficiente, non genera impulso o spinta meccanica. Invece, muove come causa finale, una forma di attrazione che fa eco alla dinamica dell’amore, in cui le cose sono attratte dalla perfezione di Dio e sono spinte a muoversi verso di esso, in un desiderio incessante di raggiungere quella perfezione. Dio, infatti, è assoluta perfezione. Aristotele, inoltre, non parla di volontà divina, perché Dio non agisce nel mondo se non come causa finale. Il Dio di Aristotele dà ordine al mondo senza crearlo, perché ciò implicherebbe il nascere dal nulla.

Dio come pensiero del pensiero

Quale è la vita che svolge Dio? Sicuramente la vita più perfetta, che è quella dell’intelligenza. Sul piano della cognizione, infatti, Dio viene concepito come l’intelligenza suprema, la massima manifestazione del pensiero. Ma, cosa contempla questa intelligenza somma? Aristotele sostiene che Dio pensa a se stesso, essendo l’unico oggetto veramente degno di contemplazione, instaurando così una forma di meta-riflessione definita come “pensiero del pensiero“. Questa posizione è argomentata profondamente nella “Metafisica”, dove Aristotele sottolinea che un Dio che non pensa non può essere divino, e un Dio che pensa ad altro sarebbe imbrigliato in potenzialità, cosa incompatibile con la sua natura di puro atto. Questo stato di autocontemplazione è legato alla beatitudine, il supremo stato di felicità e perfezione che contraddistingue l’esistenza di Dio.

Dio e la struttura del cosmo

A differenza dell’immagine di un Dio personalizzato e provvidenziale che verrà affermata dalla tradizione cristiana, Aristotele presenta un Dio che è più un principio cosmologico, che dà ordine all’universo senza crearlo, evitando così l’implicazione di un’origine dal nulla. Questa divinità regola anche i movimenti celesti, orchestrando l’armonia delle sfere celesti che compongono l’universo. In questo contesto, Aristotele contempla la possibilità di esistere più intelligenze celesti, una per ciascuna sfera, riservando tuttavia il termine “Dio” solo al primo motore. Questo lascia aperta la questione se Aristotele effettivamente teorizzi un monoteismo rigido o un sistema più aperto e pluralistico.

Attraverso queste considerazioni, Aristotele delinea una concezione di Dio profondamente radicata nella logica e nella metafisica, postulando un’entità che, con la sua perfezione assoluta, guida e ispira il movimento e l’evoluzione di tutto ciò che esiste, servendo sia come fine ultimo che come principio ordinatore dell’universo.

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