Sapere di non sapere
Nell’Apologia, Socrate racconta la crisi che ha cambiato il suo interesse per la filosofia. Questa crisi di cui parla Socrate dovrebbe esserci stata intorno al 430 a. C. Un amico di Socrate che si chiama Cherofonte, va dall’oracolo di Delfi dove c’è il tempio più importante della Grecia, dedicato ad Apollo, e qui chiede alla sacerdotessa Pizia: «Chi è l’uomo più sapiente della Grecia?» e la sacerdotessa, con risposta non del tutto esplicita, risponde: «Socrate». Quando Socrate lo viene a sapere entra in crisi perché si chiede come mai è lui l’uomo più sapiente. Sa che gli dèi non mentono e indaga il significato del responso (risposta).
Comincia a cercare la ragione delle cose, va per le strade di Atene facendo domande alle persone («che cos’è l’amore?», «che cos’è l’amicizia?», «che cos’è la giustizia?» ecc..). Va dai poeti, dai politici e dagli artigiani sperando di dimostrare che lui non è più sapiente degli altri, ma si rende conto che nessuno di essi sa dare una spiegazione della propria sapienza.
Allora egli capisce di essere sapiente perché sa di non essere sapiente. La sua interpretazione del responso dell’oracolo di Delfi è questa: il responso vuole ricordare agli uomini che nessuno è sapiente, la sapienza è soltanto di Dio e in quest’ottica il sapiente è colui che sa di non sapere. Quindi la sapienza umana ha dei limiti e il sapiente è colui che li riconosce e si pone alla ricerca del sapere.
Socrate racconta di aver capito che ogni uomo trasforma la propria verità in una verità assoluta: molti credono che quello che è vero per una persona deve essere vero per tutti. Socrate capisce che la differenza tra lui e gli ateniesi è che lui è ignorante e lo sa mentre gli altri sono ignoranti e non lo sanno. Quindi si parla di «dotta ignoranza».