Hegel: il problema dell’Antigone

L’Antigone di Hegel

Nella sezione della Fenomenologia dello Spirito qui considerata, ossia la sezione intitolata «Lo spirito», Hegel tratta il divenire dello spirito nella storia. Secondo Enrico De Negri in questa sezione «siamo di fronte non più ad una fenomenologia, e nemmeno a una filosofia delo spirito, ma a una vera e propria filosofia della storia, nella quale vengono tradotti nel loro significato concettuale degli eventi il cui carattere è sociale e politico»[1].

Pur limitandosi a trattare l’occidente del mondo dai secoli VI-V a.C. al secolo XIX d.C., sostiene Karl Rosenkranz, i fenomeni storici determinati che vengono scelti dal filosofo sono scelti come tipi classici del punto di vista che deve essere descritto[2]. In particolare, rimarca Giulio Severino che Hegel, nel trattare la vita delle antiche comunità greche, non concepisce uno stato reale di un tempo passato, ma prospetta un ideale valido per ogni tempo[3].

In questa sezione si affrontano soprattutto il tema della collettività e le varie forme in cui si struttura il rapporto fra gli uomini.

La prima forma di comunità che Hegel prende in esame è l’eticità immediata; questa altro non è se non l’assoluta unità spirituale della loro essenza nell’indipendente effettualità degli individui; è un’autocoscienza in sé universale, così a sé effettuale in un’altra coscienza, che questa ha perfetta indipendenza […] e che proprio in tale indipendenza quella è consapevole dell’unità con l’altra.[4]

Nel regno dell’eticità gli individui operano individualmente, ma nello stesso tempo sono in una totale simbiosi e identificazione con tutti; «questa sostanza etica nell’astrazione dell’universalità è solo legge pensata; ma non meno immediatamente, essa sostanza è autocoscienza effettuale, ossia ethos»[5]. La sostanza è la base e il fine dell’individuo e non si crea dal nulla ma è il lavoro cosciente di tutti e di ciascuno.

Hegel aggiunge che «questa universale sostanza parla il suo linguaggio universale nei costumi e nelle leggi del popolo»[6], queste ultime «esprimono ciò che ogni singolo è e fa», sono pensieri che la coscienza assoluta ha immediatamente e non un qualcosa a cui essa crede[7].

In questo mondo «sapienza e virtù consistono nel vivere conformemente ai costumi del proprio popolo»[8]; il bene assume la forma di un universale già dato, in quanto «ha la stessa necessità della natura»[9] e quindi non è un vero universale, infatti questo bene lascia fuori il consenso dell’individuo. Questa prima forma di comunità Hegel la rintraccia nella polis del mondo greco, che viene a corrispondere, così, alla prima apparizione dello spirito e alla sua immediata presenza.

Come sostanza reale, lo spirito è popolo, un’entità che si riferisce agli individui che la compongono; in quanto coscienza reale, è il cittadino del popolo e ha la sua verità ed essenza nella sua immediata relazione con la polis; come semplice individualità, lo spirito è il governo, la cristallizzazione della volontà comune: «ciò in cui» la comunità «è individuo»[10].

Nella sua forma universale e pubblica, questo spirito è la legge nota, l’ethos vigente, la legge umana. In quanto universalità, però, il potere etico dello stato si esercita sopprimendo l’individualità particolare, l’essere-per-sé individuale[11]. Ad agire, quindi, sarà un individuo sui generis, giacché esso avrà come contenuto del suo operare unicamente il collettivo e non ciò che lui come individuo razionale ritiene valido, perché questa non è una vera universalità. Se lo fosse, l’individuo sarebbe riconosciuto e si sentirebbe appagato, ma qui c’è piuttosto un’autocoincidenza con l’operare di tutti in cui «l’azione prorompe naturalmente dalla naturale adesione del sé al costume del suo tempo»[12].

La comunità si organizza e struttura, però, in sistemi quali quello della proprietà e dell’indipendenza personale[13], che tendono a isolarsi e ad esistere di per sé, e «gli individui in questi sistemi anelano all’egoismo»[14]. La comunità non può sopprimere questi sistemi perché minerebbe la sua stessa base. Hegel afferma che:

l’acquisto e la conservazione di potenza e di ricchezza in parte mirano soltanto al bisogno e appartengono all’appetito; in parte, nella loro determinazione superiore, divengono qualcosa soltanto mediato. Tale determinazione non cade nella famiglia stessa, ma mira all’universale verace, alla comunità; è anzi negativo verso la famiglia e consiste nel por fuori di lei il singolo, nel soggiogare la sua naturalità e singolarità e nell’edurlo alla virtù, alla vita nell’universale e per l’universale.[15]

Da una parte questi sistemi servono ad appagare l’appetito («Begierde») degli individui, ma dall’altra questi permettono l’educazione dei singoli verso la comunità. Questi sistemi sono necessari per gli individui e per la mediazione tra questi e la polis e devono quindi essere permessi. Ciò che va contrastato è l’«irrigidirsi in tale isolamento» e il «disgregare dell’intiero»[16].

La comunità deve quindi ricorrere alla guerra; questa infatti porta gli individui a sentire la loro finitudine: in altre parole, la comunità «deve dare a sentire, con quell’imposto lavoro, il loro padrone: la morte»[17].

Dal momento che questa comunità rappresenta solo l’aspetto universale e non tiene conto dell’altro lato del concetto dello spirito – l’individualità – e dal momento che, quindi, la polis considera gli individui solo come cittadini e non come uomini, il cittadino di questo stato diventa «un cittadino qualunque» che «non differisce dagli altri»[18]; rimane, quindi, fuori l’esigenza del singolo di essere riconosciuto nella sua specificità; e questa esigenza viene raccolta da una comunità caratterizzata dall’immediatezza, che esprime interesse verso l’individuo in quanto è («Sein») e non per il suo operare («Tun»): la famiglia; qui egli trova «il piacere del godimento della sua singolarità»[19].

Rispetto al popolo che ha coscienza di sé nelle proprie istituzioni, quella a cui la famiglia obbedisce è una legge inconsapevole: la legge divina. Così, mentre il regno della legge umana è alla luce del giorno, il regno della famiglia sarà quindi quello delle ombre.

Hegel introduce così la famiglia in un rapporto di polarità con la comunità, di contrapposizione ed equilibrio[20]. La famiglia appare incentrata sulla singolarità e concretamente presenta una molteplicità di relazioni e scopi: amore, proprietà, educazione. Hegel però afferma che l’essenza etica della famiglia non consiste nel rapporto naturale tra i suoi membri: l’elemento etico deve essere universale. L’essenza etica della famiglia non potrà consistere nella cura del patrimonio, perché, per un verso mira al bisogno e appartiene al desiderio, e per un altro, come abbiamo già visto, è qualcosa di semplicemente mediato che tende alla comunità, e quindi considererebbe la famiglia solo come negatività; non può, inoltre, consistere nel sentimento, essendo macchiato di naturalità; né nel servizio reciproco, avendo quest’ultimo un contenuto singolare; né nell’educazione, avendo essa un contenuto limitato, e neppure, infine, nel soccorso prestato per salvare la totalità dell’individuo, perché anche quest’azione sarebbe macchiata di accidentalità.

Il fine positivo deve essere il rapporto del singolo in quanto tale con la famiglia come totalità. Questa azione sarà quindi rivolta al singolo, ma al singolo sottratto alla realtà sensibile, all’accidentalità: non riguarderà più il vivente, ma il morto[21]. Così se il singolo come cittadino è reale e sostanziale, come membro della famiglia egli è soltanto «la debole ombra ineffettuale»[22].

E’ quindi la sepoltura del morto l’azione etica per eccellenza della famiglia. L’universalità a cui giunge il singolo è l’immediatezza naturale dell’esser-divenuto, non è attività («Tun») della coscienza; e il compito della famiglia è di aggiungere tale opera affinché quest’essere universale sia sottratto alla natura.

Nella prospettiva di Hegel i greci, attribuendo valore solo ed esclusivamente alla vita, consideravano la morte come l’assoluta negazione e allo stesso tempo ritenevano necessario dare senso alla morte, sottrarla al semplice piano della naturalità e, attraverso l’azione della sepoltura, farle guadagnare la spiritualità, per evitare che diventasse un semplice sprofondare nel nulla e che il singolo non si considerasse un semplice corpo che si dissolve[23]. Alla morte “insensata” la famiglia dava un senso.

Diversa sarà la concezione cristiana nella quale la morte ha una dimensione affermativa; in questa concezione, è con la morte, col venir  meno della sua finitudine, che l’uomo acquista la possibilità di risorgere come spirito[24].

Possiamo notare come la necessità del singolo di esser riconosciuto in quanto tale mostri come la comunità non basta da sola a riaffermare se stessa, e tanto il livello primitivo in cui l’individuo si trova, quanto la mancanza di spazio per maturare, fanno sì che questa individualità non elabori se stessa nella vita, ma riceva la spiritualità da un esterno, la famiglia appunto[25]. La famiglia, inoltre, ha il presentire che nel singolo è spirito, ma il limite di questo sapere è il suo essere immediato, il rimanere presentimento e non dispiegata coscienza[26]. Nel singolo «non c’è coscienza di sé. Si passa al piano del Sein, cioè all’ordine divino: si crede di poter prendere coscienza di un altro da Sé, del morto, dell’aldilà, del divino in generale, del “sacro”»[27]. Nel mondo greco l’individuo raggiunge la sua particolarità, ossia l’unione della sua singolarità col suo significato universale, solo con la morte, quindi solo nel momento in cui l’individuo non c’è più. Da qui ancora l’immagine di una comunità dove non c’è spazio per l’individualità.

Nell’ambito della famiglia, Hegel parla di tre tipi di rapporti fondamentali: marito e moglie, genitori e figli, fratello e sorella (da sottolineare che il filosofo non parla di «Geschwister» in generale, ma precisa l’accezione particolare «als Bruder und Schwester»).

E’ bene ricordare che il concetto di famiglia che viene trattato nella Fenomenologia non è quello di famiglia in generale, ma è caratteristico di un periodo storico: è la famiglia antica della polis, ossia la famiglia come stirpe. Nelle opere precedenti e seguenti la Fenomenologia, il comportamento etico della famiglia consiste nella sua vita affettiva, con le attività ispirate dall’amore: il servizio reciproco, la cura del patrimonio, l’educazione dei figli. La famiglia stessa si presenta anzitutto come matrimonio e Hegel afferma che non c’è un’attività particolare che incarni l’eticità familiare. Nella Fenomenologia la concezione del rapporto tra i coniugi è «difficilmente collocabile nel quadro dell’opera hegeliana»[28]; in quest’opera, infatti, Hegel dà molto maggiore importanza all’essere umano in quanto tale: nello spirito esistono esseri umani e non ruoli. Conseguente, quindi, è il passaggio della famiglia in sottofondo; in questa, infatti, i ruoli giocano una grande importanza.

Claudia Mancina nota che nella Fenomenologia il riconoscimento non conduce direttamente all’eguaglianza universale del diritto, ma ad un rapporto diseguale come quello di signoria e servitù. «Una volta eliminata quella forma di riconoscimento costituita dall’amore, assistiamo ad uno spostamento del lavoro, che ora compare del tutto indipendente dalla famiglia e dall’amore. E per la prima volta viene associato alla figura della signoria»[29] e servitù.

Apportati questi cambiamenti, il rapporto tra marito e moglie viene descritto come l’immediata conoscenza di sé che l’una conoscenza acquisisce nell’altra: è la conoscenza di un riconoscimento reciproco, ma è una conoscenza naturale e non etica. Il legame è un misto di natura e sentimento, il loro rapporto non contiene un ritorno in sé ed ha verità, infatti, in un’altra realtà: il figlio. Così mentre i coniugi in quanto ruoli hanno il loro essere-per-sé nel figlio, il figlio ha nei genitori il suo in-sé; entrambe queste realtà rimangono comunque distinte e inoltre il figlio raggiungerà l’essere-per-sé e la propria autocoscienza solo separandosi dai genitori.

Il rapporto puro, per Hegel, è quello tra fratello e sorella: qui la consanguineità trova quiete ed equilibrio. Il rapporto tra i due non è macchiato dal desiderio, o in ogni caso, come afferma maliziosamente Kojéve, questo desiderio viene comunque elaborato, «essi lo superano, lo annientano; da qui il carattere veramente umano del loro rapporto»[30]; inoltre questa relazione è formata da due individualità libere l’una rispetto all’altra.

Poiché né l’uomo né la donna possono raggiungere l’essere-per-sé cosciente nella famiglia, l’uomo dovrà lasciare la famiglia e diventare cittadino. L’uomo sottomette la sua mera esistenza naturale, la sua mera particolarità e vive in e per la comunità. Ma ciò che lascia è appunto l’elemento femminile («das Weibliche»), ovverosia gli affetti, le emozioni e i sentimenti; «nel momento in cui viene riconosciuto l’aspetto universale della sua esistenza, l’uomo raggiunge l’universalità a scapito della sua particolarità»[31]: dalla legge divina passa alla legge umana, diventa citoyen.

La donna rimane invece nella famiglia e, come figlia o moglie, resta la custode della legge divina. In quanto figlia deve assistere alla scomparsa dei suoi genitori, evento che le permette di raggiungere il suo essere-per-sé, ma, a differenza della separazione dai genitori dell’elemento maschile – una modalità positiva di raggiungimento dell’essere-per-sé –, nella donna questo si raggiunge solo negativamente.

E’ nel rapporto tra fratello e sorella che l’elemento femminile giunge ad un presentimento («Ahnung») dell’essenza etica. E questo avviene tra i due perché è un rapporto tra pari; ma questa relazione è “incastrata” nella naturalità. La donna come custode dell’elemento femminile ha il presentimento che l’individuo valga di più del cittadino e che debbano venir prese in considerazione anche le emozioni e gli affetti. Ma alla consapevolezza e all’effettualità dell’essenza, però, non arriverà mai, dal momento che la legge divina è l’interiore. Infatti non viene elaborata ma solo contrapposta alla legge umana. Antigone non cerca il riconoscimento dell’individuo ma di un individuo, il fratello.

Va ricordato che, benché con il fratello l’elemento femminile possa affermare il suo diritto al riconoscente e riconosciuto, l’unità tra fratello e sorella è destinata comunque a dissolversi nel momento in cui il fratello lascia la famiglia e la sorella, sposandosi, diventa moglie.


Note:

[1] Cfr. E. De Negri, Interpretazione di Hegel, Firenze, Sansoni, 1943, p. 386.

[2] Rosenkranz in Hegels Leben parla proprio di «simboli classici del concetto della cosa». Cfr. K. Rosenkranz, La vita di Hegel, tr. it., Firenze, Vallecchi, 1966, p. 223.

[3] Cfr. G. Severino, Antigone e il tramonto della «bella vita etica» nella Fenomenologia di Hegel, in «Giornale Critico della Filosofia Italiana», (1971), p. 86.

[4] Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tomo I, tr. it. di E. De Negri, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2008, p. 293-294.

[5] Ivi, p. 294.

[6] Ivi, p. 295.

[7] Ivi, p. 359.

[8] Cfr. E. De Negri, Interpretazione di Hegel, p. 375.

[9] Cfr. C. Ferrini, Legge umana e legge divina nella sezione VI A della Fenomenologia dello spirito, in «Giornale di metafisica»,  (1981), p. 398.

[10] Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tomo II, p. 14.

[11] Ivi, p. 9.

[12] Cfr. F. Iannelli, Oltre Antigone, Roma, Carrocci, 2006, p. 31; E. De Negri, Interpretazione di Hegel, p. 374. Così De Negri citando il Sistema dell’eticità: «l’eiticità […] non si può nemmeno dre che sia amore verso la patria e verso il popolo, perché l’assoluta vita nella patria e per il popolo».

[13] Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tomo II, p. 14.

[14] Cfr. G. Severino, Antigone e il tramonto della «bella vita etica» nella Fenomenologia di Hegel, p. 89.

[15] Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tomo II, p. 10.

[16]  Ivi, p. 14.

[17]  Ivi, p. 15.

[18] Cfr. A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, tr. it., Milano, Adelphi, 1996, p. 231. Da notare è anche che «lo stesso Capo dello Stato non è che un rappresentante qualunque dello Stato, dell’Universale, non un Individuo propriamente detto […] egli è funzione dello Stato» egli non «crea uno Stato con la sua volontà personale, per realizzare e far riconoscere la sua individualità. Il Capo dello Stato accetta uno stato dato».

[19] Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tomo II, p. 19

[20] Cfr. A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, p. 233-234. Mentre lo stato chiede il sacrificio della propria vita per la causa universale, la famiglia ne ricosse il valore supremo; da qui il conflitto insanabile e senza via d’uscita, poiché «l’Uomo non può rinunciare alla Famiglia, perché non può rinunciare alla Particolarità del suo Essere; e non può nemmeno rinunciare allo Stato, perché non può rinunciare all’Universalità della sua Azione».

[21] Cfr. E. De Negri, Interpretazione di Hegel, p. 388. Così De Negri: «in vita il singolo appartiene, più che alla famiglia, alla comunità».

[22] Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tomo II, p. 11.

[23] Cfr. P. Vinci, L’Antigone di Hegel. Alle origini tragiche della soggettività, in P. Montani (a cura di), Antigone e la filosofia, Roma, Donzelli, 2001, pp. 34-35.

[24] Ivi, p. 34.

[25] Cfr. M. D’Abbiero, Le ombre della comunità, Genova, Marietti, 1991, pp. 117-118.

[26] Cfr. G. Severino, Antigone e il tramonto della «bella vita etica» nella Fenomenologia di Hegel, cit., p. 92.

[27] Cfr. A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, p. 127.

[28] Cfr. C. Mancina, Differenze nell’eticità, Napoli, Guida Editori, 1991, p. 151.

[29] Ivi, pp. 158-159.

[30] Cfr. A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, cit., p. 128.

[31] Cfr. P. Jagentowicz Mills, Hegel’s Antigone, in «The Owl of Minerva», (1985-1986), p. 132.

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