Le neuroscienze affettive: Panksepp e l’archeologia della mente

Animali e sentimenti: oltre lo specismo

Scimmia con cucciolo

L’esistenza di sentimenti affettivi negli animali è sostenuta da numerose evidenze scientifiche. Innanzitutto, «gli altri mammiferi sono attratti dalle stesse ricompense ambientali e sostanze che generano dipendenza come noi umani», quindi «il fatto che gli animali esibiscano dei forti desideri per simili agenti, e dal momento che queste attrazioni sono mediate da sistemi cerebrali simili, è impressionante», pertanto, «ci dovrebbero essere pochi dubbi che gli stati affettivi esistano negli altri animali». In secondo luogo, «i nostri sentimenti emotivi umani sono dipendenti da sistemi cerebrali sottocorticali molto simili nelle regioni profonde dove esistono sistemi neurali “istintivi” evolutivamente omologhi». Infine, «l’attivazione artificiale dei sistemi cerebrali profondi che promuovono le azioni emotive sono apprezzati e disprezzati dagli animali, così come misurato da una serie di misure di approccio ed evitamento» (J. Panksepp. 2005, p. 14). Infatti, «gli animali non sono neutrali rispetto a nessuna delle varie forme di arousal emotivo indotto artificialmente» (J. Panksepp, L. Biven, 2012, p. 51).
Non sappiamo quando gli animali abbiano cominciato ad avere esperienze affettive; queste sembrano apparse già in alcuni vertebrati non mammiferi e anche in alcuni invertebrati, come il gambero d’acqua. La comparsa delle emozioni nell’evoluzione, comunque, ha significato una risposta adattativa all’ambiente circostante e questo perché, come confermano numerosi dati, i sistemi affettivi di base «forniscono valutazioni del mondo sotto forma di categorie delle esperienze affettive individuali», pertanto i sistemi emotivi sono delle «antiche e universali strutture valoriali» (J. Panksepp, L. Biven 2012, p. X); i sistemi emotivi «geneticamente radicati nel cervello riflettono ricordi ancestrali – funzioni affettive adattative di importanza universale per la sopravvivenza che sono state costruite nel cervello, invece di dover essere apprese di nuovo da ogni generazione di individui» (Ivi, p. 256).
Le omologie a livello neurale ci forniscono delle solide prove delle comuni origini evolutive e, quindi, ci impongono di evitare lo specismo. A lungo in campo scientifico e filosofico si è mantenuta la posizione che negava che gli animali fossero in grado di avere sentimenti emotivi. L’idea che gli animali esperissero dei sentimenti come la paura veniva tacciata di antropomorfismo, cioè di attribuzione ad animali di esperienze e di sentimenti esclusivamente umani (G. G. Brittan, 2000). I dati evidenziati da Panksepp ci mostrano che queste accuse cadono perché cade anche la stessa visione specista dei sentimenti affettivi.


Bibliografia:

  • Brittan G. G., 2000, The Inevitability of Antropomorphism, in «Evolution & Cognition», 6, n. 2, pp. 132-141.
  • Panksepp J., 1998, Affective Neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions, Oxford University Press.
  • Panksepp J., 2005, Affective consciousness: Core emotional feelings in animals and humans, in «Consciousness & Cognition», 14, pp. 19-69.
  • Panksepp J., Biven L., 2012, The Archeology of Mind. Neuroevolutionary Origins Of Human Emotions, New York, W.W. Norton & Company (tr. it. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane, Milano, Cortina, 2014).

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mario ambrosioni
mario ambrosioni
2 anni fa

Grazie!