Apprendimento e memoria
Tra le primarie regolazioni affettive e i processi affettivo-cognitivi c’è un vasto territorio di processi di apprendimento automatizzati come:
– «sensibilizzazione» (sensitization), intesa come l’incremento spontaneo di un comportamento che si presenta a seguito della ripetizione di uno stimolo;
– «abituazione» (habituation), intesa come la spontanea inibizione di un comportamento in presenza di uno stimolo ripetuto;
– «disabituazione» (dishabituation), intesa come l’elevata tendenza di risposta in presenza di uno stimolo che è stato precedentemente interrotto per un periodo di tempo (J. Panksepp, 1998, p. 35).
L’apprendimento è stato facilitato dall’emergere degli affetti: questi, infatti, hanno fornito dei valori per orientare il comportamento, dal momento che le esperienze sensoriali più importanti sono sentite come affettivamente piacevoli o spiacevoli. In seguito gli affetti hanno dato origine ad associazioni con eventi, organismi e oggetti che possono, in tal modo, essere apprese. Questi sono automatici processi del cervello che rimangono profondamente inconsci. Il sé nucleare, infatti, genera le cognizioni e gli apprendimenti rudimentali, soprattutto inconsci, combinando gli affetti emotivi e le tendenze all’azione con le impressioni sensoriali rudimentali. Con l’emergere dei circuiti emotivi complessi, il sé nucleare può anche anticipare una varietà di cambiamenti ambientali.
Anticipando questioni di sopravvivenza, gli stati affettivi interni forniscono una guida immediata per il comportamento e tali sentimenti sono connessi con gli eventi del mondo attraverso, appunto, l’apprendimento. Pertanto le funzioni dell’apprendimento e della memoria sono fondamentali nel passaggio dal fondamento istintivo alla piena consapevolezza. Possiamo definire l’apprendimento come «l’insieme di quei cambiamenti relativamente stabili nel comportamento che sono conseguenze delle passate esperienze» (M. Darley et al., 1986, p. 157).
Panksepp studia i fenomeni della memoria e dell’apprendimento legati, soprattutto, al sentimento della paura, ma con la convinzione che quanto osservato possa valere anche per gli altri sistemi emotivi.
Rispetto alla visione classica dell’apprendimento, Panksepp sottolinea come, in base ai suoi studi, questo non possa essere visto come una semplice associazione di idee. Nella prospettiva evolutiva di Panksepp, i meccanismi cerebrali di base degli affetti sono «strumentali rispetto al modo in cui avviene l’apprendimento», pertanto, «le risposte emotive incondizionate agli eventi ambientali sono le “ricompense” e “punizioni” percepite all’interno del cervello» (J. Panksepp, L. Biven, 2012, p. 228).
La memoria è un meccanismo legato all’apprendimento e viene considerata da Panksepp nel processo di tipo secondario. Quando si parla di memoria è centrale il concetto di «consolidamento», che è il nome che viene dato ai complessi processi cerebrali che «trasformano le esperienze fugaci in ricordi a breve termine, prima, e in ricordi a lungo termine, poi, dopo che quelle esperienze si sono ripetute alcune volte» (Ivi, p. 226). La memoria è uno strumento utile per anticipare e affrontare gli eventi futuri, utilizzando le esperienze del passato. Da ciò segue che gli animali fanno esperienza di molti aspetti delle loro emozioni riattivate durante esperimenti di memoria.
Panksepp mette in discussione tre fondamenti importanti dell’apprendimento e della memoria. Spesso memoria e apprendimento vengono considerati dei processi intenzionali, intendendo l’apprendimento intenzionale come lo studio dovuto al desiderio di padroneggiare qualcosa. L’apprendimento intenzionale è tipicamente umano ma, per Panksepp, riguarda un campo molto ristretto di ricordi, infatti la maggior parte dell’apprendimento negli animali e nell’uomo avviene quando sono coinvolti dei forti sentimenti e non per l’intervento della intenzionalità.
Un’altra concezione comune è quella che vede le funzioni cognitive sempre coinvolte nell’apprendimento e nella memoria. Secondo questa idea, noi impariamo quando comprendiamo consciamente qualcosa. Ma questo, sottolinea lo studioso, non avviene frequentemente. A tal riguardo, Panksepp porta l’esempio della memoria procedurale, cioè quella forma di memoria legata più alla pratica che alle cognizioni. Benché l’immaginazione attiva può migliorarne la performance, il controllo cosciente può addirittura interferire nell’esecuzione; quindi è soprattutto la pratica dell’esecuzione che rende tali apprendimenti parte del nostro apparato di abitudini motorie. Neanche nel caso di condizionamenti cerebrali, che producono apprendimento e memoria emotivi, le esperienze cognitive superiori svolgono un ruolo essenziale. L’apprendimento emotivo è quello che «coinvolge l’acquisizione di una risposta emotiva a un’esperienza che in precedenza era neutrale», mentre la memoria emotiva è «la conservazione di tali risposte nel tempo» (Ivi, p. 230). Per esserci un apprendimento emotivo «le persone e gli animali devono essere attivati emotivamente da uno stimolo incondizionato» (Ivi, p. 251). Pertanto, il condizionamento non è una funzione cognitiva ma è una risposta automatica del cervello che non richiede l’attivazione della neocorteccia e in cui gli stati affettivi sono decisivi nell’apertura delle porte di accesso all’apprendimento. Sicuramente le risposte affettive non sono richieste nelle forme più cognitive dell’apprendimento dichiarativo, come il calcolo matematico, ma sono sempre coinvolte nei ricordi di vita reale.
Un’altra concezione che Panksepp critica è quella che vede un solo tipo di apprendimento e un solo tipo di memoria. In realtà i tipi sono diversi ma non sono stati finora adeguatamente concettualizzati.
Per quanto riguarda la memoria, una prima distinzione è quella tra ricordi espliciti, esperiti cognitivamente in modo chiaro, e ricordi impliciti, esperiti dal punto di vista affettivo più che cognitivo. I ricordi espliciti hanno una forma dichiarativa, episodica e autobiografica, mentre la forma più comune dei ricordi impliciti è la memoria procedurale. Un’ulteriore distinzione è quella tra memoria a breve termine, memoria a lungo termine e memoria di lavoro: tutti i ricordi, afferma Panksepp, hanno componenti sia a breve sia a lungo termine; la memoria di lavoro, invece, opera «con entrambe queste componenti, così come con contenuti episodici, autobiografici e semantici» (Ivi, p. 235). La memoria di lavoro assume una particolare importanza perché oltre a servirsi di vari sistemi mnemonici è in grado di combinarli in vario modo. Per questo la memoria di lavoro è quanto più si avvicina al concetto comune di «pensare». Gli oggetti della memoria di lavoro possono essere conservati e codificati come ricordi dichiarativi, che diventano così disponibili per essere recuperati in seguito.
Dal punto di vista neurochimico è stato dimostrato che, per la maggior parte dei ricordi, il neurotrasmettitore fondamentale è il glutammato, anche se non è l’unico rilevante. Esistono, infatti, molte sostanze che rafforzano i ricordi e altre che possono attivamente cancellarli. Come sottolinea Panksepp, «il decadimento dei ricordi è importante quanto la loro formazione» e tale processo del dimenticare è presumibilmente un processo attivo, funzionando come un apprendimento al contrario» (Ivi, p. 239).
I ricordi sono inoltre soggetti, oltre al consolidamento, al «riconsolidamento»: quando animali ed esseri umani si servono dei loro ricordi, riportandoli in una modalità attiva, questi possono essere rimodellati e riconsolidati in forme diverse (Ibidem).
La memoria e l’apprendimento, come abbiamo visto, non sono necessariamente dei processi intenzionali: animali e persone ricordano automaticamente le cose più importanti. Tutti questi tipi di memoria, inoltre, condividono molti processi neurochimici che quindi si sovrappongono tra loro e sono intimamente mescolati con il nostro apparato cognitivo-linguistico-culturale.
Bibliografia:
- Darley J. M., Glucksberg S., Kamin, L. J., Kinchla R. A., 1981, Psychology, Engelwood Cliffs, Prentice-Hall (tr. it. Psicologia, Bologna, Il Mulino, 1986).
- Panksepp J., 1998, Affective Neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions, Oxford University Press.
- Panksepp J., Biven L., 2012, The Archeology of Mind. Neuroevolutionary Origins Of Human Emotions, New York, W.W. Norton & Company (tr. it. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane, Milano, Cortina, 2014).
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