Le neuroscienze affettive: Panksepp e l’archeologia della mente

Il SÉ ideografico

Autocoscienza

Panksepp sostiene che il sé nucleare e i sette sistemi emotivi interagiscano con le funzioni cerebrali superiori, come la memoria di lavoro, e permettano in questo modo l’emergere dei livelli superiori della «coscienza riflessiva» nonché di «un’autocoscienza esistenziale pluristratificata»: il sé ideografico (Panksepp J., Biven L., 2012, pp. 422-423). Le radici del nostro sé devono essere rintracciate nelle regioni più antiche del cervello, cioè nei sistemi neurali primitivi: nelle mappe motorie (mappa del corpo), nelle mappe sensoriali (il mondo esterno) e nelle mappe emotive (lo schema di valore). All’inizio tali mappe motorie, sensoriali ed emozionali sarebbero state interconnesse e successivamente, con lo sviluppo dell’encefalo, si sarebbero evolute fino all’abilità di avere pensieri interni complessi e a riflettere su di essi. Questo processo ha portato gli umani a un senso di sé pluristratificato, multimediale e conscio che corrisponde alla nostra consapevolezza degli eventi che ci accadono e del nostro ruolo in essi. Le forme più elevate di coscienza di sé sono, quindi, elaborate dall’integrazione delle capacità affettive primarie con le abilità mentali secondarie/terziarie. La centralità delle capacità motorie alla base dell’emergere della coscienza, sembra, inoltre, essere avvalorata anche da ciò che emerge negli studi sulla neocorteccia. Qui, difatti, è nelle aree motorie frontali che sono generati i piani e le intenzioni, rivelando la connessione tra tali caratteristiche psicologiche del cervello e le funzioni motorie. Queste regioni sono il luogo in cui avviene l’incubazione del sé più elaborato, in funzione della vita vissuta, e contribuiscono a stabilire le proprietà comportamentali nel tempo. I sé ideografici richiedono il coinvolgimento dei processi cognitivi complessi, ma questi processi sono sempre assistiti da una valutazione affettiva del mondo, che permette ai sistemi cerebrali superiori di rimanere in contatto con l’utilità (la valutazione) delle varie percezioni. Il sistema affettivo controlla gli stati globali del cervello, mentre le cognizioni elaborano l’informazione che proviene dai sensi esterni. Quindi «la corteccia eteromodale del cervello umano può essere meglio concettualizzata come un fine generale di terreno di gioco cognitivo-linguistico-culturale per regolare le tendenze affettive e motivazionali di base, che sono organizzate da altre parti. In questa visione, i processi cognitivi sono “strumenti” o “ancelle” che aiutano a regolare le questioni vitali più basilari»; inoltre, rispetto ai sistemi sottocorticali, «studi funzionali suggeriscono una vasta plasticità in molte delle funzioni corticali tradizionalmente accettate» (J. Panksepp, J. B. Panksepp, 2000, p. 116).
In questo senso viene meno anche l’illusione che gli esseri umani siano creature completamente razionali, infatti l’influenza dei sistemi sottocorticali sulle aree più alte del cervello è un’integrazione di processi cognitivi ed emotivi che svolgono, però, anche una funzione di controllo reciproco. La neocorteccia può, però, inibire intrinsecamente l’emotività di processo primario tendendo a mantenerla nel regno del subconscio; ed è probabile che ciò avvenga durante lo sviluppo, non appena i meccanismi esperienziali di livello superiore comincino a prevalere sul controllo del comportamento. Pertanto la regolazione cognitiva superiore dell’emotività non è una funzione del cervello intrinsecamente rifinita: essa emerge sostanzialmente attraverso l’educazione emotiva e l’intelligenza emotiva che ne risulta. In altre parole, «i segnali sottocorticali dell’attivazione neuronale sono correlati positivamente al grado di affetti esperiti, mentre le regioni cerebrali superiori sono più tipicamente correlate negativamente alle esperienze emotive cognitive» (J. Panksepp, L. Biven, 2012, p. 427). Tuttavia in situazioni di inquietudine o nelle psicopatologie, l’influenza dei circuiti emotivi sottocorticali sulle regioni più alte del cervello è molto più forte del controllo cognitivo dall’alto verso il basso.
Anche il libero arbitrio è una funzione neurocognitiva superiore di livello terziario, e di questa noi ci serviamo regolarmente per pianificare le azioni future. Ciononostante, non è possibile affrancarci facilmente dal tumulto emotivo sottostante. È da notare, inoltre, che nei livelli di processo primario dell’elaborazione emotiva non c’è libero arbitrio e non ci sono cognizioni controllate, né mostrano libero arbitrio le funzioni automatiche di apprendimenti e memoria di processo secondario.
Il punto fondamentale è, quindi, che il sé, originato a livello sottocorticale, è massicciamente connesso a molte altre parti del cervello, a input sensoriali e feedback regolativi, funzioni motorie, reazioni anatomiche integrative nonché a molti altri processi cognitivi, specialmente dei sistemi corticali della linea mediana. I processi neocorticali, sviluppati attraverso l’interazione con i processi primari e secondari, sono a loro volta in grado di influenzare, inibire, armonizzare i sentimenti affettivi. Pertanto, le neuroscienze affettive dimostrano da una parte che le emozioni governano le nostre opinioni apprese e dall’altro che è possibile lavorare cognitivamente sulle nostre emozioni per raggiungere quella “saggezza pragmatica” identificata con la phronesis.


Bibliografia:

  • Panksepp J., 1998, Affective Neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions, Oxford University Press.
  • Panksepp J., 2005b, On the embodied neural nature of core emotional affects, in «Journal of Consciousness Studies», 12, pp. 158-184.
  • Panksepp J., Biven L., 2012, The Archeology of Mind. Neuroevolutionary Origins Of Human Emotions, New York, W.W. Norton & Company (tr. it. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane, Milano, Cortina, 2014).

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mario ambrosioni
mario ambrosioni
3 anni fa

Grazie!