Le neuroscienze affettive: Panksepp e l’archeologia della mente

Mente e cervello: il monismo duale

Mente e cervello: il monismo duale

Per Panksepp, il cervello è un organo che si è evoluto come organo unificato e, quindi, egli esclude un dualismo mente/cervello. Nello specifico, «il sistema del sé nucleare, preso nel suo insieme […] genera non solo comportamenti emotivi e cambiamenti corporei a essi associati, ma anche affetti emotivi». Per spiegare il rapporto tra mentale e cervello fisico, Panksepp propone una teoria che prende il nome di «monismo duale»: «monismo» perché sostiene che «tutto ciò che avviene nella mente è in ultima analisi radicato in una singola sostanza», cioè «il cervello fisico», con la parte più essenziale «che si trova nei sistemi sottocorticali e corticali della linea mediana»; «duale», invece, «si riferisce all’idea che questi sistemi della linea mediana generino contemporaneamente due aspetti delle emozioni che sembrano apparentemente distinti – sia le tendenze coerenti all’azione emotiva sia gli associati stati psicologici di processo primario (affetti)» (J. Panksepp, L. Biven, 2012, pp. 449-450).
A tal proposito, Panksepp usa nei suoi scritti entrambi i termini, mente e cervello, «con la doppia maiuscola e in entrambe le combinazioni». Nello specifico, il termine CervelloMente quando adotta la visione bottom-up, dal basso verso l’alto, evidenziando come alcuni aspetti del cervello siano «intrinseci ai tipi di contenuti mentali che abbiamo»; mentre usa il termine MenteCervello, quando adotta la visione top-down, evidenziando «complessità che non possono essere chiarite dalla ricerca animale» e che sono generate nelle zone superiori del cervello dall’apprendimento e pensiero «normalmente guidati da influenze sociali e culturali» (Ivi, pp. 7-8).
Panksepp, in questo modo, mostra una posizione diversa sia dai mentalisti che dai neuroriduzionisti. I primi, infatti, sostengono che il mentale sia qualcosa di diverso dal neurale. A questi Panksepp risponde che il mentale «ha antecedenti biologici» e si configura come una «proprietà del cervello fisico» che si può studiare come «ogni altro fatto biologico» (Ivi, p. 61).
In un altro punto, facendo un paragone con il computer, Panksepp scrive che «l’informazione è uno stato organizzato della materia. Il flusso dell’informazione è un processo “semifisico” distinto che può essere concettualizzato indipendentemente dalle forme specifiche di materia ed energia dalle quali è derivato». Dove «il termine semifisico è usato semplicemente per focalizzare la nostra attenzione sul fatto che il medium fisico esatto sul quale occorrono i trasferimenti di informazione è meno importante dei concetti di matematica formale che costituiscono le scienze del procedimento dell’informazione. Così, le memorie del computer possono essere generate da una varietà di sostrati fisici programmati per comportarsi in modo simile». È fondamentale notare, però, che «ovviamente ciò non vuol dire che l’informazione può esistere nel nostro mondo senza la derivazione fisica fornita dalla materia e dall’energia. L’informazione è un tipo specifico di interazione tra i due. In modo simile, la mente è un’interazione di dinamiche del cervello ed eventi ambientali» (J. Panksepp, 1998, p. 336). Sottolineando come il mentale sia radicato nel neurale, Panksepp risponde anche ai sostenitori del funzionalismo, per i quali, parlando di stati mentali, è importante descriverne la funzione e non dove questi si originano. Per Panksepp la materia, il cervello e le reti neurali, sono fondamentali per capire gli stati mentali e per questo sottolinea l’importanza della biologia che, come sappiamo, per Panksepp è frutto dell’evoluzione e quindi pregna di storia. In questo senso non sarebbe possibile usare dei modelli matematici per spiegare gli stati mentali.
Panksepp, però, risponde anche agli ultra-riduzionisti. Questi, infatti, «affermano che si possa spiegare tutto con un’analisi neurale senza approfondire i problemi psicologici che sono parte dell’apparato neuromentale più globalmente operante» (J. Panksepp, 2005, p. 12). Gli ultra-riduzionisti non considerano l’importanza degli stati affettivi della mente e le «cause neuro-mentali emergenti» perché, secondo il loro punto di vista, «spesso i costrutti mentali non permetterebbero […] alcuna predizione». La risposta di Panksepp sottolinea come questa assunzione neghi «quanto utili queste visioni siano nella vita reale quando proviamo ad avere a che fare con animali eccitati emozionalmente […] o esseri umani emotivamente disturbati» (J. Panksepp, 2005, p. 12). Purtroppo, lamenta Panksepp, «solo una minoranza accetta esplicitamente, come ipotesi di lavoro, l’alta probabilità che certi costrutti psicologici riflettano sfaccettature di neurodinamiche in larga scala che emergono dalle attività cerebrali evolute, epigeneticamente rifinite, meglio concepite in termini di dinamiche di rete globali piuttosto che riduzionismo eliminativo micro-neurale» (J. Panksepp, 2005, p. 12).


Bibliografia:

  • Panksepp J., 1998, Affective Neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions, Oxford University Press.
  • Panksepp J., 2005, Affective consciousness: Core emotional feelings in animals and humans, in «Consciousness & Cognition», 14, pp. 19-69.
  • Panksepp J., Biven L., 2012, The Archeology of Mind. Neuroevolutionary Origins Of Human Emotions, New York, W.W. Norton & Company (tr. it. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane, Milano, Cortina, 2014).

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mario ambrosioni
mario ambrosioni
2 anni fa

Grazie!