Le neuroscienze affettive: Panksepp e l’archeologia della mente

La mente affettiva: conseguenze e prospettive

Panksepp sviluppa un concetto di coscienza «che include le emozioni e gli affetti primitivi» ed è «un concetto di sé basato più sull’azione affettivamente ricca che sulla riflessione intellettualmente rarefatta» e, in questo modo, «espande la nostra nozione di mente oltre le versioni rappresentazionali e proposizionali che dominano entrambe la scienza cognitiva e la filosofia tradizionale», (J. Panksepp et al., 2012, p. 29).
Le neuroscienze affettive integrano, in questo modo, le «due culture»: quella umanista e quella scientifica (C. P. Snow, 1959). In questa nuova prospettiva, il cervello «non è più solamente considerato nella sua dimensione medica. […] non è più solamente studiato per le patologie mentali e neurologiche» (A. Ehrenberg, 2008) ma anche, e principalmente, «un vettore di significato morali e di costruzione dell’identità» (M. D’Abbiero, 2008, p. 220): è quindi un organo che si è evoluto unitariamente. Pertanto la domanda è se e in che misura noi siamo il nostro cervello. Come abbiamo visto, Panksepp propone un monismo duale: tutto ciò che avviene nella mente è radicato nel cervello, che ha degli aspetti intrinseci e, allo stesso tempo, dei contenuti e delle funzioni complesse che sono guidate e plasmate dalla storia personale, sociale e culturale. Gli aspetti intrinseci, che sono gli aspetti naturali degli organismi, descrivono una natura che è però il risultato delle sedimentazioni evolutive della specie e sono, quindi, il risultato di un lungo percorso storico e sociale. Pertanto l’idea è quella di una natura come storia e dell’individuo come integrazione e interazione di due storie: quella della specie e quella personale.
Benché le emozioni grezze originino da sistemi innati, presenti in tutti i mammiferi e in molti altri organismi, la teoria di Panksepp non rimane prigioniera di un semplice riduzionismo. Difatti, oltre all’epigenesi che determina o meno lo sviluppo di alcune strutture e funzioni, è la propria storia personale, le interazioni sociali e i vari aspetti culturali che plasmano, interagendo tra di loro, quel sé ideografico che è la mente evoluta. In altre parole, il mio sé «dipende non solo da ciò che succede nel mio cervello ma anche dalla mia storia e dalla mia attuale posizione nel mondo nonché dalla mia interazione con esso» (A. Noë, 2009, p. 4).
La mente ancestrale è una mente affettiva e i sentimenti affettivi giocano un ruolo determinante nello sviluppo della mente, pertanto cadono tutte quelle forme di razionalismo e cognitivismo che tendevano a considerare «la riflessione razionale la più fondamentale tra le operazioni cognitive, quando, invece, pensare e valutare comportano a loro volta l’esercizio di competenze pratiche ancora più basilari» (Ivi, p. 103), come descrive Panksepp e come mostrano studi empirici (A. Bechara, A. Damasio, 2005).
Una delle critiche più ricorrenti alle neuroscienze è quella verso la pretesa di spiegare esperienze psicologiche e sociali «a partire dalle basi neurobiologiche naturali» anziché collegarle «all’istituzione sociale da cui sono indissociabili» (A. Ehrenberg, 2008, p. 81), concentrandosi sull’«individuo» e non sulla «persona», sottolineando che «il concetto di persona non separa l’individuo e la società» (A. Ehrenberg, 2008, p. 94). La teoria di Panksepp, però, non ricade in tale critica, infatti l’interdisciplinarità è ciò che permette a Panksepp di studiare gli organismi e gli individui nella loro interdipendenza con la società e con il contesto. Bisogna, però, evitare anche il problema opposto, ossia negare l’aspetto naturale degli individui. Si può obiettare ancora che «nella misura in cui possediamo un corpo, è normale che molteplici realtà biologiche (neurotrasmettitori, sinapsi, aree cerebrali ecc…) ci facciano esperire ciò che esperiamo. La distinzione di cause e ragioni deve essere qui considerata come gerarchica: la meccanica causale del cervello è inglobata nell’universo dei significati da cui deriva. I significati implicano la preminenza dei valori (bene/male, bello/brutto) e delle norme (permettere, ordinare, interdire) sul corpo (o il cervello)» (A. Ehrenberg, 2004, p. 141). A tale osservazione Panksepp potrebbe rispondere sostenendo che anche la sua teoria parla di rapporto gerarchico, ma la gerarchia ipotizzata da Panksepp è una gerarchia nidificata, con un rapporto ascendente e discendente. Le neuroscienze affettive, tuttavia, invertono «la tradizionale freccia causale dal momento che i meccanismi affettivi di base danno energia, orientano e dirigono i processi di livelli superiore e il comportamento degli animali, attraverso elementi necessari e desiderabili nel mondo che aiutano a raggiungere l’omeostasi e la soddisfazione della maggior parte dei bisogni corporei di base e delle unità psicologiche» (J. Panksepp et al., 2012, p. 23). Inoltre, bisogna sottolineare che l’aspetto naturale non indica una struttura casuale, ma è frutto di sedimentazioni profonde, di risposte a eventi ricorrenti e, soprattutto, ci permette di indagare i rapporti tra individui e società anche nel mondo animale, dal momento che, come si è osservato, con gli animali condividiamo molte tendenze e capacità, benché in grado diverso. Quindi, in altre parole, non c’è una contrapposizione tra valori e cause naturali, intendendo con queste le tendenze naturali ad agire, generate dai sistemi emotivi. Difatti tali tendenze sono frutto di sedimentazioni valoriali e le emozioni che le generano offrono una codifica dei valori, provati dall’evoluzione. Pertanto, «gli esseri umani entrano direttamente in contatto con ciò che ha un valore o un disvalore, senza bisogno di passare attraverso un qualche concetto generale della natura umana» (E. Lecaldano, 2010, p. 90). Le funzioni superiori, ancora una volta, non hanno semplicemente il compito di controllo e inibizione ma sono in un rapporto integrativo con i processi primari.
Per ciò che riguarda la società, lo stesso Darwin notava che «l’istinto sociale è indispensabile per [molti] alcuni animali» (C. Darwin, 2011, p. 109) e questo «si manifesta spesso nel soccorso tra individui della stessa specie […] e perfino tra specie diverse dello stesso habitat» (Ivi, p. XVI). In altre parole, «l’evoluzione ci ha programmati infatti favorendo la tutela reciproca» (A. Lavazza, G. Sartori, 2011, p. 116) ed è essenziale ricordare che Panksepp individua dei sistemi che sono alla base del nostro vivere sociale, come quello della sofferenza, del gioco e della cura. Il sistema della sofferenza ci spinge alla socialità, a ricercare legami non solo di tipo sessuale e a generare rapporti profondi. Il sistema del gioco crea e rinforza legami, educa e rifinisce il rispetto per le istituzioni sociali fino, presumibilmente, ad aiutare a stabilire i rapporti di dominanza in un gruppo. Il sistema della cura, invece, è, come dice Panksepp, il primo momento in cui gli organismi entrano in contatto con un sentimento potente come l’empatia. Con essa non si intende semplicemente una condivisione di sentimenti (un’esperienza che trova una perfetta traduzione nel termine tedesco di mitfühlen, ossia un sentire insieme), ma indica l’esperienza affettiva del sentimento esperito dall’altro (l’immedesimazione, espressione che sempre in tedesco viene indicata come einfühlen, ossia un proiettare all’interno il sentimento dell’altro). Ciò è quanto esperimentano le madri con i loro piccoli quando li sentono piangere, ad esempio. Sappiamo anche che l’empatia è diversa dalla solidarietà, in quanto «l’empatia è un processo attraverso il quale raccogliamo informazioni sull’altro» mentre «la solidarietà riflette invece un interesse per l’altro e un desiderio di migliorarne la condizione» (F. De Waal, 2009, p. 122). Eppure va notato che è proprio dall’interesse per l’altro e dal desiderio di migliorarne la condizione che si è poi originata, evolutivamente, l’empatia. Tale sentimento primordiale avrebbe potuto dare origine a emozioni raffinate come la solidarietà o alle forme elaborate della «teoria della mente», intesa come «l’insieme dei processi per i quali ciascuno postula, negli altri, l’esistenza di stati mentali interni» (A. Ehrenberg, 2008, p. 82). Inoltre l’integrazione dei due sentimenti, la cura e la sofferenza, sarebbe, secondo Churchland, «la base neurale del senso morale» (P. Churchland, 2011, p. 29). Ovviamente, il fatto che la moralità possa emergere dall’empatia «non vuol dire che questa sia ricondotta o ridotta a questo sentimento» (E. Lecaldano, 2010, pp. 41-42), infatti è presumibile che quelli morali siano «sentimenti di secondo livello» (Ivi, p. 55).
Un modello a cui lo stesso Panksepp guarda con interesse è quello dei neuroni specchio. Questi sono «localizzati nella corteccia premotoria dei primati, si attivano quando un animale osserva un altro animale compiere un movimento, perfino quando l’azione è virtuale, cioè vista al computer, o parzialmente nascosta». Un modello, quindi, di «simulazione incarnata» (A. Attanasio, 2010, p. 292). Oltre a fornire un nuovo apporto al tema dell’empatia e della teoria della mente, questo modello evidenzia, come fa notare Panksepp, una correlazione tra l’azione e la comprensione: la stessa correlazione che avviene a livello sottocorticale. Come scrive Rizzolatti «un cervello che agisce è anche e innanzitutto un cervello che comprende» (G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, 2006, p. 3).
La teoria di Panksepp porta degli argomenti forti contro il comportamentismo, il quale non considera l’importanza degli stati affettivi e le risposte innate; contro il cognitivismo, che si concentra sui processi terziari lasciando fuori le emozioni ed escludendo dalle ricerche il mondo animale; contro il costruttivismo, perché la mente arcaica concepita da Panksepp non è una mente povera ma ha un forte bagaglio di valori innati; contro un semplice riduzionismo materialista, perché certi stati mentali, come gli affetti emotivi, non si possono studiare esclusivamente a livello micro-neurale, dimenticando gli aspetti psicologici e socioculturali che sono fondamentali per lo sviluppo della coscienza. La teoria di Panksepp porta, inoltre, argomenti contro il funzionalismo, che si concentra sulle funzioni senza considerare i circuiti neuro-chimici e la loro evoluzione; e, infine, contro il computazionismo perché i meccanismi affettivi di base «sono modulati dai controlli neocorticali, dagli input del corpo e da diversi fattori esterni» (J. Panksepp et al. 2012, p. 21).
Panksepp scrive di «neurobiologia dell’anima» e parla di «“anima” animale» (J. Panksepp, L. Biven, p. 419) e sembra così cadere in un’ulteriore rilievo. Infatti, come è stato obiettato, «quando i biologi (e non LA biologia) pretendono di provare che tutto viene dall’interno (compreso il sociale), sostituiscono all’interiorità metafisica una interiorità biologica: la metafisica prende il volto di una questione scientifica» (A. Ehrenberg, 2004, p. 154). Non si può parlare, però, stricto sensu di “anima materiale”, se con questa intendiamo un’entità completa, immutabile e separata dal corpo. La mente descritta da Panksepp è una mente incorporata, ma è anche una mente attiva nel contesto, che vive, soffre, si sviluppa e degenera. Ciò segna il passaggio dal cogito ergo sum cartesiano al «I feel therefore I am» di Panksepp, ossia sento, dunque sono (J. Panksepp et al., 2012, p. 8).
Numerosi sono, infine, gli sviluppi di ricerca che la teoria di Panksepp dischiude. Ridisegnare in modo affettivo la coscienza apre molte prospettive non solo per l’intervento clinico. La teoria di Panksepp apporta nuovi argomenti nella discussione sul senso morale, sul rapporto tra dovere e sentimento, sul libero arbitrio e sulla responsabilità morale e giuridica.
Prima di tutto, però, la teoria di Panksepp fa luce su alcuni aspetti del mentale, quali le emozioni, a lungo ignorati e ci fornisce delle informazioni importanti sulla natura umana. Nella convinzione che la scienza e la filosofia abbiano un obiettivo comune: comprendere la realtà.


Bibliografia:

  • Attanasio A., 2010, Darwinismo morale. Da Darwin alle neuroscienze, Torino, Utet.
  • Bechara A., Damasio A., 2005, The somatic marker hypothesis: A neural theory of economic decision, in «Games and Economic Behavior», 52, n. 2, pp. 336–372.
  • Churchland P. S., 2011, Braintrust. What Neuroscience Tells Us about Morality, Princeton, Princeton Unviersity Press (tr. it Neurobiologia della morale, Milano, Cortina, 2012).
  • D’Abbiero M., 2010, Per un’etica del piacere. Riflessioni filosofiche sulla felicità, Milano, Guerini.
  • Darwin C., 2011, Capacità mentali e istinti negli animali, a cura di A. Attanasio, Torino, Utet.
  • De Waal F., 2009, The Age of Empathy. Nature’s Lessons for a Kinder Society, New York, Broadway Books (tr. it. L’età dell’empatia. Lezioni dalla natura per una società più solidale, Milano, Garzanti, 2011).
  • Ehrenberg A., 2004, Le sujet cérébral, in «Esprit», 11, pp. 130-155.
  • Ehrenberg A., 2008, Le Cerveau “social”: Chimère épistémologique et vérité sociologique, in «Esprit», 1, pp. 79-103.
  • Lavazza A., Sartori G., 2011, Neuroetica, Bologna, Il Mulino.
  • Lecaldano E., 2010, Prima lezione di filosofia morale, Roma-Bari, Laterza.
  • Noë A., 2009, Out of Our Heads: Why You Are Not Your Brain, and Other Lessons from the Biology of Consciousness, New York, Hill & Wang (tr. it. Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Milano, Cortina, 2010).
  • Panksepp J., Asma S., Curran G., Gabriel R., Greif T., 2012, The Philosophical Imlications of Affective Neuroscience, in «Journal of Consciousness Studies», 19, n. 3-4, pp. 6-48.
  • Panksepp J., Biven L., 2012, The Archeology of Mind. Neuroevolutionary Origins Of Human Emotions, New York, W.W. Norton & Company (tr. it. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane, Milano, Cortina, 2014).
  • Snow C. P., 1959, The Two Cultures and the Scientific Revolution, New York, Cambridge University Press.
  • Rizzolatti R., Sinigaglia C., 2006, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Milano, Cortina.

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mario ambrosioni
mario ambrosioni
2 anni fa

Grazie!