Edmund T. Rolls
Edmund T. Rolls, psicologo e neuroscienziato, prova a fornire un approccio scientifico diverso alla questione delle emozioni.
La teoria di Rolls parte dall’analisi dell’elaborazione dell’informazione sensoriale nel cervello. Tale informazione è seguita dalla codifica valoriale con ricompense e punizioni e dalle decisioni che vengono prese per ottenere l’obiettivo identificato dal sistema sensoriale e di rinforzo. Rolls definisce le emozioni come: «stati elicitati dalle ricompense e punizioni, cioè, dagli strumenti di rinforzo» (E. T. Rolls, 2005, p. 11). Le emozioni sono distinte dalla motivazione, che Rolls definisce come lo «stato in cui si trova un animale quando vuole operare per una ricompensa o fuggire da o evitare una punizione» (Ivi, p. 3) e «per escludere i comportamenti simili ai semplici riflessi, il concetto evocato qui per il termine “operare” è eseguire un comportamento arbitrario (chiamato risposta operante) in modo da ottenere una ricompensa o evitare una punizione» (Ivi, p. 2). L’umore, invece, è «uno stato continuo elicitato normalmente da un rinforzo e così è parte di ciò che è un’emozione» (Ivi, p. 36).
La classificazione delle diverse emozioni, per Rolls, si basa sui diversi tipi di ricompense e punizioni e sui diversi tipi contingenza dei rinforzi che si applicano a questi. Il suo studio prova, quindi, a disegnare i diversi sistemi di valore riguardo ai premi e alle punizioni, perché questo è il modo in cui i geni possono costruire il sistema complesso che produce i comportamenti appropriati benché flessibili. Questi sistemi sono costruiti dall’evoluzione che in questo modo dirige i nostri comportamenti verso obiettivi che ci permettono di sopravvivere. Per alcuni di questi obiettivi i comportamenti possono essere più flessibili di altri.
Rolls afferma che «ogni cambiamento nella consegna di una ricompensa o una punizione agisce come rinforzo» (Ivi, p. 11), quindi «uno stimolo affettivamente positivo o “appetitivo” agisce operazionalmente come una ricompensa che, quando raggiunta, agisce strumentalmente come un rinforzo positivo» (Ivi, p. 3). Nella definizione di ricompensa e punizione, come sostiene Rolls, «l’apprendimento è implicito» (Ivi, p. 2). L’importanza dell’apprendimento, nel processo emotivo, non deve essere visto, secondo Rolls, come una forma di comportamentismo, infatti, sostiene lo studioso che «la definizione di emozione non ha nulla a che fare con le associazioni stimolo-risposta (abitudine), ma piuttosto con un tipo apprendimento in due stadi, in cui al primo stadio si apprende quale stimolo ambientale o evento siano associati con i rinforzi, questo è potenzialmente un processo molto rapido e flessibile; un secondo stadio produce delle azioni strumentali ed arbitrarie appropriate, messe in atto in modo da raggiungere l’obiettivo» (Ivi, p. 35). Pertanto «nel primo stadio, è prodotto uno stato emotivo, nel secondo stadio, è selezionata ogni azione che è appropriata in conformità allo stato emotivo» (Ivi, p. 37). Rolls fa l’esempio della paura, questa «è lo stato emotivo prodotto da uno stimolo associato al dolore, un’azione verrà selezionata per fuggire da o evitare lo stimolo che provoca l’emozione», in questa visione «l’emozione è uno stato che guida l’elicitazione di un’azione verso uno stimolo, lo stato emotivo non è esso stesso una risposta comportamentale» (Ivi, p. 37). Quindi l’emozione, per Rolls, è una valutazione non affettiva di svariati stimoli sensoriali.
A livello cerebrale, queste valutazioni non affettive avvengono nelle strutture sottocorticali. In seguito, l’informazione non affettiva può essere inviata in due direzioni. Come sintetizza Panksepp, per Rolls «l’informazione inviata nella prima direzione arriva ai gangli della base – strutture profonde del prosencefalo che controllano i comportamenti istintivi non direttamente esperiti. L’informazione non esperita generata dalle regioni cerebrali più antiche può anche essere inviata in una seconda direzione verso la neocorteccia»; tuttavia «nella formulazione generale dei sentimenti emotivi di Rolls, è necessaria un’ampia e complessa corteccia, come quella posseduta dalla maggior parte degli esseri umani, per costruire un’interpretazione simbolica delle valutazioni non affettive compiute dalle parti inferiori del cervello. Questa interpretazione simbolica può essere resa a parole. E queste trasformazioni simboliche e linguistiche creano le esperienze affettive, che Rolls chiama “qualia”» (J. Panksepp, L. Biven, 2012, pp. 78-79). Pertanto, Rolls «ha ipotizzato che le valutazioni non affettive diventino anch’esse in qualche modo concetti e che gli affetti siano creati quando si traducono tali concetti in parole», perciò l’abilità di verbalizzare o almeno di concettualizzare le valutazioni è una condizione necessaria per l’esperienza affettiva (Ivi, p. 85). Gran parte degli animali, quindi, sono esclusi dall’esperienza affettiva. Egli «sostiene che usiamo le parole per generare concetti, e questo comporta la costruzione semantica e concettuale degli affetti». Ma «chi può negare che la mente superiore influenzi drammaticamente il territorio affettivo inferiore?», questi, però, «sono livelli diversi di analisi di un insieme di sistemi della MenteCervello assai complessi e gerarchicamente organizzati» (Ivi, p. 83). In altre parole, «l’esperienza fenomenica del vedere il rosso non richiede […] l’intelligenza. […] Parole come rosso rappresentano esperienze primarie che non necessitano di intelligenza a meno, ovviamente, che non desideriamo dare un nome a tale esperienza» (Ivi, p. 85).
Come sostiene Panksepp, «l’ipotesi che i sentimenti emotivi siano generati all’interno delle regioni corticali superiori è in contrasto con i dati che mostrano che i sistemi emotivi che sono in grado di elaborare ricompense e punizioni sono localizzati in regioni del cervello molto più profonde»; egli infatti, come abbiamo visto, ritiene che «le strutture più profonde programmino le (o insegnino alle) strutture corticali più antiche come generare le valutazioni» (Ivi, p. 78). Difatti, «il solo fatto che le strutture corticali più recenti possano generare valutazioni non elimina la possibilità che le regioni più profonde del cervello partecipino in maniera decisiva alla generazione dei sentimenti primari e grezzi su cui si basano le valutazioni secondarie» (Ivi, p. 78).
Un grande problema nella formulazione di Rolls è quello di usare «gli affetti sensoriali per discutere degli affetti emotivi» e questo è «un errore categoriale». Egli fornisce «una grande quantità di dati di visualizzazione cerebrale sugli esseri umani che mostrano come la corteccia orbito-frontale (un’antica regione corticale) partecipi alla generazione del valore edonico in risposta al sapore del cibo e alla sua consistenza, nonché alla piacevolezza del tatto». Quindi, «il suo lavoro si riferisce più agli affetti che scaturiscono dalle esperienze sensoriali che ai tipi di circuiti emotivi» discussi da Panksepp (Ivi, p. 79). Inoltre, Rolls non spiega perché evolutivamente sia stata necessaria la concettualizzazione degli affetti per permetterne l’esperienza.
Rolls parla esplicitamente della teoria di Panksepp, affermando come la propria teoria sia «più sistematica» della teoria proposta da Panksepp, infatti, «la specificazione di azioni così come modelli di azione fissati (in contrasto con gli obiettivi) dai geni non solo è geneticamente dispendiosa, ma l’avere delle regioni del cervello specializzate per le azioni (come gioco e rabbia) condurrebbe a una moltitudine di sistemi cerebrali di azione/emozione specializzati, con potenzialmente un sistema per ognuna delle possibili risposte emotive» mentre «specificare le emozioni come stati elicitati dai rinforzi lascia libera e flessibile l’azione che può essere presa in particolari circostanze» (E. T. Rolls, 2005, p. 39). Rolls non considera, quindi, che per Panksepp solo alcuni circuiti emotivi di base sono innati, mentre le emozioni di ordine superiore sono legate all’apprendimento e alle funzioni superiori in un rapporto ascendente e discendente. Pertanto Panksepp non ipotizza un circuito per ogni tipo di emozione esperita. Inoltre, le risposte emotive, secondo Panksepp, dipendono sia dall’intensità dell’attivazione dei circuiti emotivi sia dalla loro interazione con gli altri circuiti e con le funzioni superiori, pertanto il rapporto tra le risposte emotive e i circuiti non è di uno a uno.
Bibliografia:
- Panksepp J., Biven L., 2012, The Archeology of Mind. Neuroevolutionary Origins Of Human Emotions, New York, W.W. Norton & Company (tr. it. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane, Milano, Cortina, 2014).
- Rolls E. T., 2005, Emotion explained, Oxford, Oxford University Press.
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