La triangolazione e le neuroscienze affettive
I sistemi sottocorticali sono omologhi in tutti i mammiferi, mediano gli stati affettivi e i comportamenti emotivi che sono simili in gran parte dei vertebrati. Da ciò segue che per studiare in modo esaustivo questi affetti, non è sufficiente un singolo approccio disciplinare. Appare sempre più necessario superare la divisione tra la cultura umanistica e quella scientifica e giungere, così, ad una integrazione di varie discipline che prese da sole risultano insufficienti. L’etologia, ad esempio, ha studiato in modo efficace i pattern del comportamento istintivo animale, ma ha quasi sempre tralasciato i meccanismi cerebrali dei processi neuropsicologici che producono tali comportamenti. Il comportamentismo, invece, ha studiato le modifiche e le canalizzazioni dei modelli di comportamento come funzioni dell’apprendimento, tralasciando spesso, però, le fonti innate delle variazioni del comportamento che sono suscettibili di modifiche attraverso il condizionamento ambientale. Dal punto di vista del comportamentismo tradizionale, «non era essenziale comprendere queste tendenze “istintive” animali» (J. Panksepp, 1998, p. 11). Le scienze cognitive, d’altra parte, si sono rivolte alla complessità della mente umana, ignorando, tuttavia, gli antecedenti evolutivi, così come il sistema neurale che sottende le passioni. La sociobiologia e la psicologia evolutiva hanno, d’altro canto, indagato le fonti evolutive dei comportamenti umani e animali, ma difficilmente hanno preso in considerazione le cause neurali di questi comportamenti. La psicologia evolutiva in particolare, però, «accetta che molte strategie adattative siano state costruite nel cervello umano e che molte di queste possano servire funzioni che non sono immediatamente evidenti alla nostra mente cosciente» (Ivi, p. 11), rimanendo tuttavia legata allo specismo, dal momento che le «inclinazioni sono comunemente discusse indipendentemente da ciò che condividiamo con le altre creature» (J. Panksepp, J. B. Panksepp, 2000, p. 114). La psicologia clinica e la psichiatria, inoltre, hanno affrontato nella pratica i disturbi nei meccanismi cerebrali, senza però avere un quadro neuroconcettuale delle fonti delle emozioni su cui costruire una comprensione sistematica. Tali discipline integrate, tra di loro e con una neurofilosofia che si serve di un approccio sperimentale, sono chiamate ad interagire, così, in una nuova disciplina che Panksepp chiama «neuroscienze affettive» (J. Panksepp, 1998, p. 5).
Le neuroscienze affettive pongono al centro la triangolazione cervello-mente-comportamento attraverso l’integrazione, come abbiamo detto, di approcci psicologici, comportamentali e neuroscientifici. Quindi le neuroscienze affettive sono «profondamente radicate nella psicologia fisiologica, nella biologia comportamentale e in quell’etichetta modernizzata per tutte queste discipline: le neuroscienze comportamentali» (Ivi, pp. 5-6). Ciò avviene attraverso procedure che implicano la manipolazione cerebrale, i cambiamenti comportamentali negli animali e, ove possibile, i cambiamenti nella mente umana. Fondamentale è quindi la ricerca a livello cerebrale negli esseri umani e, soprattutto, negli animali. Infatti, «tutte le misurazioni corporee oggettive, dalle espressioni facciali ai cambiamenti autonomici, sono solo vaghe approssimazioni delle dinamiche neurali sottostanti» (Ivi, p. 9). Senza un’analisi neurale i concetti emotivi rischiano di essere usati circolarmente nel discorso scientifico, infatti, afferma Panksepp, «non si può dire che gli animali attaccano perché sono arrabbiati e poi rigirare il discorso e dire che sappiamo che gli animali sono arrabbiati perché mostrano azioni di attacco» (Ivi, p. 13). Le informazioni ricavate da questa ricerca a livello cerebrale vanno poi integrate con quelle legate ai comportamenti animali in natura e in laboratorio e con le osservazioni sulla psicologia umana. La descrizione psicologica degli umani di una manipolazione in regioni cerebrali simili a quelle animali è il completamento dell’osservazione comportamentale animale. In altre parole, il modo migliore per accedere alla tassonomia naturale di questi sistemi è attraverso «le maggiori categorie delle esperienze affettive umane individuali e culturali, uno studio concorrente delle categorie naturali di comportamenti emotivi animali e un’analisi accurata dei circuiti cerebrali dai quali emergono queste tendenze» (Ivi, p. 14).
Normalmente, dice Panksepp, le varie discipline hanno fatto da ponte soltanto tra due di questi elementi: le neuroscienze comportamentali hanno studiato la relazione cervello-comportamento, lasciando fuori i processi mentali; la neuropsicologia e le neuroscienze cognitive hanno studiato la relazione mente-cervello, non considerando il comportamento, mentre le psicologie cognitive, studiando la relazione mente-comportamento hanno trascurato quel che avviene a livello cerebrale. Le neuroscienze affettive si pongono, quindi, come un ponte tra i tre elementi e le discipline che li hanno fin qui studiati, «identificando i sistemi cerebrali principali che aiutano a creare i sentimenti emotivi» e fornendo «una strategia evolutiva per la comprensione dei fondamenti della nostra mente emotiva» (Ivi, p. 256).
Bibliografia:
- Panksepp J., 1998, Affective Neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions, Oxford University Press.
- Panksepp J., Biven L., 2012, The Archeology of Mind. Neuroevolutionary Origins Of Human Emotions, New York, W.W. Norton & Company (tr. it. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane, Milano, Cortina, 2014).
Grazie!