Emozioni, affetti e sentimenti
Panksepp usa il termine «emozione» come un «concetto “ombrello”» tale da includere «cambiamenti affettivi, cognitivi, comportamentali, espressivi e una serie di cambiamenti fisiologici». Il termine «affetto» indica, invece, «la componente soggettiva esperienziale-sentimentale che è molto difficile da descrivere verbalmente». Non esiste un solo tipo di affetto, ma esistono «una varietà di affetti distinti, alcuni legati più criticamente agli eventi corporei (tendenze omeostatiche come fame e sete), altri a stimoli esterni (gusto, tatto ecc…)». Nello specifico, «gli affetti emotivi sono strettamente legati agli stati di azioni interni, innescati tipicamente da eventi ambientali. Sono tutte funzioni intrinseche complesse del cervello, che sono innescate da percezioni e vengono rifinite esperienzalmente» (J. Panksepp, 2005, p. 3).
Le emozioni possono, quindi, essere definite come «i processi psiconeurali che sono particolarmente importanti nel controllare la forza e i modelli di azioni nel flusso dinamico degli intensi interscambi comportamentali tra animali così come con certi oggetti, durante circostanze che sono particolarmente importanti per la sopravvivenza» (J. Panksepp, 1998, p. 48).
Gli affetti emotivi di base o nucleari non dipendono dal linguaggio o da abilità cognitive, per questo si caratterizzano come esperienze grezze, comuni a tutti gli animali. Le emozioni sono state costruite nel cervello dall’evoluzione, senza esperienza e senza oggetto, pertanto, non sono “intenzionali” cioè non riguardano qualcosa; non sono attitudini proposizionali derivati da valutazioni emotive, perché non necessitano del linguaggio; infine, non sono creati né dalla cognizione né dall’apprendimento individuale.
Panksepp non distingue tra affetti emotivi e sentimenti emotivi: una volta che il circuito neurale che media l’emozione viene elicitato, vengono generate delle tendenze di risposta comportamentali e, allo stesso tempo, i sentimenti affettivi relativi. Il cervello, come scrive Panksepp, «genera sentimenti affettivi in due modi. La parte inferiore del cervello può generare specifici sentimenti affettivi che segnalano in modi accurati sia ciò di cui il corpo ha bisogno (affetti omeostatici e sensoriali) sia ciò di cui il cervello ha bisogno (affetti emotivi). La parte superiore del cervello tratta, in seguito, queste forze della mente con una grande varietà di modi cognitivi idiosincratici. Tutti i sentimenti posseggono una dimensione di intensità di arousal che è spesso condivisa tra molti sentimenti differenti» (J. Panksepp, J. B. Panksepp, 2000, p. 70).
I sentimenti emotivi arrivano, presumibilmente, a generare «umori e, in ultima misura, particolari dimensioni della personalità» (J. Panksepp, 1998, pp. 14-15). A tal riguardo, Panksepp afferma che «quando potenti onde di affetti travolgono il senso di noi nel mondo, diciamo che stiamo sperimentando un’emozione. Quando sentimenti simili sono più come una marea – deboli ma persistenti – diciamo che stiamo sperimentando un umore». Gli affetti emotivi sono sempre caratterizzati da forti reazioni a livello corporeo, comportamentale e affettivo, infatti, «essere sopraffatti dall’esperienza emotiva significa che l’intensità è tale che gli altri meccanismi cerebrali, come i processi sensoriali superiori, sono perturbati dal comportamento spontaneo e affettivo dettati dal più primitivo sistema di controllo cerebrale», per questo «il senso di noi nel mondo», questo processo che origina da funzioni corticali superiori, viene travolto dall’esperienza emotiva. Anche quando non sono travolgenti, le esperienze affettive possono essere persistenti e influenzare in questo modo le altre funzioni cerebrali, tale è il caso dell’umore (Ivi, p. 47).
I circuiti emotivi sono determinati geneticamente e disegnati per rispondere incondizionatamente a tutti quegli stimoli rilevanti per la nostra vita. Comprendere gli affetti nucleari animali significa, perciò, conoscere i nostri sistemi di valore di base, cioè quegli aspetti che ci fanno intrinsecamente stare bene o male. Questi circuiti organizzano comportamenti diversi attivando o inibendo atti motori e concorrenti cambiamenti ormonali che si sono dimostrati come risposte efficaci nella storia evolutiva. Le esperienze affettive «non solo sostengono le tendenze comportamentali incondizionate ma aiutano anche a guidare i nuovi comportamenti fornendo semplici meccanismi di codifica dei valori che forniscono una salienza autoreferenziale, permettendo in tal modo agli organismi di categorizzare gli eventi del mondo efficientemente così come [permettono] di controllare i comportamenti futuri» (J. Panksepp, 1998, p. 14). La ragione per cui le emozioni hanno preso la forma di stati mentali esperiti fenomenicamente, quindi stati con valenza soggettiva, è probabilmente dovuta al fatto che questo è stato un modo efficace per motivare e guidare gli animali in ambienti prevedibili. Pertanto i sistemi emotivi primari si sono evoluti perché rappresentano un vantaggio nell’affrontare il mondo sviluppando le potenzialità di sopravvivenza: gli stati interni hanno permesso agli animali di compiere scelte comportamentali migliori e i sentimenti emotivi hanno consentito di meglio identificare gli eventi nel mondo che fossero più vantaggiosi o più dannosi biologicamente. Quindi le emozioni sono «operazioni euristiche» (J. Panksepp, L. Biven, 2012, p. 222), sono dei valori naturali interni. Le emozioni sono valori perché sono dei giudizi rapidi d’azione, di tipo pre-cognitivo, in grado di guidare gli animali e gli uomini verso ciò che li fa stare bene e a tenerli lontani da ciò che li danneggia, come individui e come specie; sono naturali perché non derivano da fattori socioambientali ma sono sedimentati nella nostra natura dall’evoluzione; e sono interni perché non devono la loro origine alle esperienze individuali.
I sentimenti di livello superiore, afferma Panksepp, «sono semplicemente impossibili da studiare con le procedure attuali»; difatti, «le questioni riguardanti le raffinate emozioni di processo terziario, di notevole importanza per le relazioni umane – dall’avarizia alla simpatia -, potrebbero non essere mai affrontate in maniera neuroscientificamente dettagliata negli altri animali. Sebbene alcune possibilità possano essere inferite da una minuziosa osservazione dei comportamenti» e benché ci siano «anche parecchie prove comportamentali che indicano che molti primati superiori esibiscono complesse emozioni sociali», ad oggi «non ci sono modelli scientificamente fondati per studiare tali complesse emozioni di processo terziario negli altri animali». Ciò però non toglie che «i sentimenti emotivi primari possono essere finalmente studiati sperimentalmente, e tale conoscenza può avere considerevoli applicazioni per comprendere la nostra natura più profonda e la parentela che ci lega agli altri animali» (Ivi, pp. 53-54).
Con la teoria di Panksepp vengono messe in discussione anche tre posizioni forti sulle emozioni, così come già con Darwin. Innanzitutto, la posizione che vede le emozioni come sostanza spirituale, di stampo religioso: «le emozioni, e non solo le loro espressioni, non sono esclusive degli umani» e «hanno una realtà biologica e psicologica» osservabile scientificamente (C. Darwin, 2010, p. XXXII). Inoltre, non è più sostenibile quella posizione che vede nelle emozioni una pura realtà ideale, immateriale ed esclusivamente mentale: le emozioni hanno una natura fisiologica, una struttura neurale e possono essere generate anche attraverso la stimolazione elettrica. Infine, cade anche la posizione che vede le emozioni solo come una realtà biologica, cioè come pura circuiteria neurale: le emozioni «hanno una realtà mentale nella tendenza ad agire» (ibidem) e generano una esperienza affettiva avvertita come positiva o negativa .
È da notare, infine, che tutti i comportamenti dei mammiferi sono un insieme di componenti innate e apprese, ma è importante sottolineare che «nessun pensiero specifico o comportamento è ereditato direttamente, ma sicuramente lo sono le disposizioni a sentire, a pensare e agire in vari modi e in varie situazioni» e che «certe tendenze psicologiche possono essere rappresentate all’interno del cervello intrinseco e delle costruzioni corporee che gli organismi ereditano». Quindi non c’è un’ereditarietà diretta dei comportamenti e un destino determinato, ma tendenze che «promuovono certe possibilità e ne diminuiscono altre» (J. Panksepp, 1998, p. 16).
Bibliografia:
- Darwin C., 2010, Taccuini filosofici, a cura di A. Attanasio, Torino, Utet.
- Panksepp J., 1998, Affective Neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions, Oxford University Press.
- Panksepp J., Panksepp J. B., 2000, The seven sins of evolutionary psychology, in «Evolution & Cognition», 6, pp. 108-131.
- Panksepp J., 2005, Affective consciousness: Core emotional feelings in animals and humans, in «Consciousness & Cognition», 14, pp. 19-69.
- Panksepp J., Biven L., 2012, The Archeology of Mind. Neuroevolutionary Origins Of Human Emotions, New York, W.W. Norton & Company (tr. it. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane, Milano, Cortina, 2014).
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