La morte di Socrate
Si apre il processo con un tribunale di 500 cittadini. Socrate pronuncia un’apologia (difesa) ma viene condannato con uno scarto di 140 voti. La sentenza non viene eseguita subito perché il giorno prima una nave è stata inviata a Delo per le feste ed è necessario aspettarla per eseguire la condanna. Passa un mese e in questo intervallo Socrate attende in carcere. Giunge il momento dell’esecuzione e un suo amico influente, Critone, lo invita a non accettare la prigionia e a fuggire, ma Socrate rifiuta e, come prevede la condanna, beve la cicuta (un veleno) dopo il tramonto del sole. Non vuole abbandonare la città, sarebbe per lui sconveniente. Socrate non è un sofista, non è un opportunista e non va in esilio.
La sua difesa è raccontata nell’Apologia scritta da Platone.
Socrate a un certo punto fa alcune riflessioni: «di queste nostre azioni le conseguenze si proietteranno sulle generazioni future». Egli chiede per i figli di essere severi e attenti e punirli se infrangono la legge.
Egli dice: «è difficile farvi cambiare idea perché il mio accusatore non è Anito, né Meleto, né Licone ma è la folla anonima. La folla anonima (doxa) è la più tremenda degli avversari perché essa veramente non esiste e non si può combattere contro le ombre. Allora, o giudici, io mi avvio verso la morte e voi verso la vita, ma di questi due sentieri solo dio sa quale di noi va verso il meglio». Poi aggiunge: «con buone probabilità il mio sentiero non è infelice perché la voce interiore (in greco: daimon) che mi allontana dal compiere un’azione sconveniente stamani non si è fatta sentire».
I cittadini ateniesi si sentivano messi sotto accusa da Socrate e provano una duplice sensazione:
– irritazione perché Socrate faceva sempre domande;
– senso di esclusione dalla verità.
Socrate viene accusato di aver insultato gli dèi della città, può pagare una multa e rimanere vivo ma se paga una multa deve ammettere che è colpevole. Socrate decide di non pagare la multa e accetta la condanna a morte. Dopo la condanna l’ Apologia di Socrate finisce. Quello che succede dopo lo sappiamo da altre opere di Platone:
– nel Fedone: Socrate parla con Fedone, si parla dei 3 giorni dopo la condanna. Socrate parla dell’immortalità dell’anima. Lui va incontro alla morte con serenità perché pensa che l’anima non muoia.
– nel Critone: Socrate parla con Critone, si parla dell’ultimo giorno di vita di Socrate. Socrate discute con i suoi studenti del perché ha deciso di morire. Gli allievi cercano di convincerlo a pagare la multa o a fuggire ma Socrate rifiuta. Nasce un dialogo sul problema del rispetto delle leggi. Socrate dice che se la legge dice che deve morire, lui morirà. Critone dice che la legge è ingiusta ma Socrate dice che bisogna sempre rispettare le leggi in modo critico. Non deve mai mancare lo spirito critico. Quando la legge è ingiusta abbiamo il dovere di criticare, e criticandola poi si può cambiare, ma dobbiamo comunque rispettarla. La legge serve per permettere la convivenza. Socrate non pensa che le leggi vengano dagli dèi, ma questo non vuol dire che non si debbano rispettare.
Gli ateniesi portano la cicuta a Socrate e lui muore. Socrate accetta di morire per restare fedele alle sue idee, lui sa di essere nel giusto, è convinto che esista un aldilà e sa che sarà ripagato per questo. Socrate muore per la verità.
A processare Socrate non sarà l’oligarchia ma il demos, ma la natura del processo potrebbe essere l’influenza dei sofisti o l’instabilità della democrazia.
Platone è un allievo di Socrate e la sua morte sarà ciò che lo spinge a fare filosofia e soprattutto filosofia politica. La filosofia politica cerca un modo per costruire un altro stato. Lo stato che porta ingiustizia non può far vivere un uomo giusto.