La logica
La logica, nell’ambito della filosofia stoica, riveste un ruolo di fondamentale importanza, venendo considerata come la scienza che governa l’arte dei discorsi. Questa branca della filosofia stoica si articola principalmente in due campi distinti ma interconnessi: la retorica e la dialettica. Questi campi, a loro volta, sono suddivisibili in aree di studio più specifiche, fornendo una struttura complessa e articolata per l’analisi e la produzione di discorsi filosofici.
La nascita della logica
Zenone di Cizio è forse stato il primo a coniare il termine “logica” per indicare questa disciplina focalizzata sull’analisi dei “lógoi”, ossia dei discorsi. A differenza di altre correnti filosofiche, Zenone attribuiva alla logica un ruolo autonomo, distinguendola da un semplice “órganon”, uno strumento al servizio delle altre scienze. Questa percezione della logica come una scienza a sé stante sottolinea la profonda importanza che la disciplina rivestiva nel contesto stoico.
La retorica
Il primo dei due grandi pilastri della logica stoica è la retorica, definita come la scienza dedicata allo studio dei discorsi continui, o orazioni. Questa branca della logica si occupa di esplorare le tecniche e le strategie necessarie per creare discorsi coerenti e persuasivi, focalizzandosi sulle modalità con cui le idee vengono comunicate in maniera fluida e ininterrotta.
La dialettica
Il secondo pilastro è la dialettica, che si concentra sull’analisi dei discorsi strutturati attraverso un sistema di domande e risposte. Questa area della logica stoica si divide ulteriormente in due segmenti: la grammatica e la logica in senso stretto. Mentre la grammatica si occupa dello studio delle parole e delle loro strutture, la logica in senso stretto indaga le forme del ragionamento, includendo l’esame di rappresentazioni, proposizioni, argomentazioni e sofismi.
Ambiti di indagine della logica
Grazie a questa suddivisione dettagliata, la logica stoica è in grado di affrontare una vasta gamma di questioni filosofiche, raggruppate principalmente in due ambiti di indagine: da un lato, si focalizza sui problemi della conoscenza e sulla formazione dei concetti, analizzando le modalità con cui gli individui percepiscono e interpretano il mondo; dall’altro, esplora le diverse forme del ragionamento, indagando le strutture logiche che guidano il processo di pensiero e permettendo così una comprensione più profonda delle dinamiche del discorso filosofico.
Il processo conoscitivo
Zenone di Cizio descrive il processo conoscitivo attraverso una metafora evocativa che coinvolge le mani. In questo schema, una mano aperta simboleggia la rappresentazione semplice, il primo contatto della mente con una nuova informazione. Man mano che il processo si evolve, una mano contratta diventa emblema dell’assenso, un segno della mente che accoglie e conferma una determinata rappresentazione. A un livello più profondo, una mano chiusa a pugno indica la rappresentazione catalettica, una forma di conoscenza più solida e fondata. Infine, due mani unite insieme illustrano la rappresentazione concettuale, una comprensione matura e globale dell’oggetto di conoscenza.
Facciamo un esempio concreto per i quattro livelli di conoscenza:
- Rappresentazione semplice (mano aperta):
Immaginate di passeggiare in un giardino e di imbattervi in una rosa che non avete mai visto prima. In questo momento, il vostro senso della vista cattura l’immagine della rosa, una rappresentazione semplice ed immediata dell’oggetto senza alcuna elaborazione ulteriore o giudizio. - Assenso (mano contratta)
Dopo aver percepito la rosa, iniziate a processare l’informazione ricevuta. In questa fase, decidete di accettare consapevolmente l’immagine percettiva come una rappresentazione veritiera della rosa. Questo atto di assenso può essere accompagnato da una riflessione interna, dove confermate a voi stessi che ciò che state vedendo è effettivamente una rosa. - Rappresentazione catalettica (mano chiusa a pugno)
A questo punto, la vostra mente inizia a lavorare in modo più profondo con l’informazione acquisita. Non solo avete riconosciuto l’oggetto come una rosa, ma iniziate a confermare questa percezione attraverso una serie di validazioni sensoriali – osservando la sua forma, il suo colore, forse annusando il suo profumo – conferendo così una certa solidità e fiabilità alla vostra conoscenza iniziale. La rappresentazione catalettica è raggiunta quando siete convinti della veridicità della vostra percezione, unendo l’immagine sensoriale con il giudizio razionale. - Rappresentazione concettuale (due mani unite)
Infine, la conoscenza raggiunge il suo apice quando cominciate ad integrare la singola percezione della rosa in un quadro concettuale più ampio. In questa fase, non solo riconoscete l’oggetto come una rosa, ma siete anche in grado di collegarlo a concetti più ampi, come la categoria delle rose, la botanica, o addirittura concetti più astratti come la bellezza o la transitorietà della vita (pensando, per esempio, alla rosa come simbolo di bellezza effimera). A questo livello, la conoscenza si è evoluta da una semplice percezione sensoriale a una comprensione concettuale profonda e multidimensionale.
Il criterio di verità: la rappresentazione catalettica
Nel pensiero stoico, il criterio ultimo della verità è incarnato dalla rappresentazione catalettica, un tipo di rappresentazione mentale radicata sulla sensazione, su cui l’intelletto conferma il suo assenso attraverso un atto di giudizio. Questo processo bidirezionale vede, da un lato, l’intelletto che percepisce e comprende l’oggetto, e dall’altro, l’azione dell’oggetto stesso che imprime una determinata rappresentazione sulla mente. In questo scenario, l’individuo si trova in una posizione di dualità, essendo allo stesso tempo passivo e attivo nel processo conoscitivo.
Gli stoici enfatizzano la dinamica cruciale nel processo conoscitivo: mentre l’individuo è passivo rispetto alle sensazioni, essendo incapace di sottrarsi alle impressioni che si generano spontaneamente in lui, possiede comunque la libertà di conferire o negare l’assenso a queste rappresentazioni tramite l’uso dell’intelletto. Quest’atto di assenso, chiamato “synkatáthesis”, si manifesta attraverso un processo di giudizio, delineando così una forma di autonomia nel cammino verso la conoscenza.
L’anima come tabula rasa e la nascita dei concetti
Secondo gli stoici, la conoscenza ha origine dai sensi, con l’anima che funge da tabula rasa, una tavola vuota pronta a registrare le sensazioni generate dagli oggetti del mondo esterno. Queste rappresentazioni sensibili, accumulandosi nel tempo, danno vita a un processo di “prolèpsi“, o anticipazione, dove emergono concetti generalizzati che possono riferirsi a molteplici individui. Sebbene questi concetti non possiedano una realtà intrinseca, essendo la realtà sempre individuale, vengono organizzati in una gerarchia che culmina con l’essere o il “genere sommo”, seguito da altre categorie quali sostanza, qualità, modo di essere e relazione.
La teoria del significato
Gli stoici sostengono che i concetti non rappresentano l’essenza delle cose, ma agiscono piuttosto come segni che significano le cose. In questo contesto, delineano una teoria tripartita del significato, distinguendo tra:
- il significante, che è la parola stessa;
- il significato, che è la rappresentazione mentale evocata dalla parola;
- l’oggetto, che è la cosa concreta rappresentata dalla parola.
Attraverso questa struttura, gli stoici cercano di spiegare la complessa relazione tra linguaggio, pensiero e realtà, offrendo una visione profonda e articolata del processo conoscitivo.
Ragionamenti
Nel contesto della filosofia stoica, emerge una distinzione critica tra la concludenza e la verità di un ragionamento. La concludenza fa riferimento alla connessione formalmente corretta tra le premesse e la conclusione di un argomento, delineando una struttura logica che sostiene l’argomentazione. Al contrario, la verità di un ragionamento non è determinata dalla sua struttura formale, ma piuttosto dalla sua aderenza al criterio della realtà, cioè dalla corrispondenza con i fatti reali che lo sostengono.
I ragionamenti anapodittici
La scuola stoica identifica un insieme fondamentale di ragionamenti, noti come ragionamenti anapodittici, che agiscono come i pilastri della logica stoica. Questi ragionamenti, in totale cinque, sono caratterizzati dalla loro evidente auto-dimostrazione, essendo indimostrabili ma immediatamente evidenti per loro natura. Essi rappresentano delle strutture logiche universali che possono essere applicate a una vasta gamma di argomenti e discussioni. Ecco i cinque ragionamenti anapodittici:
- Modus ponens: “Se è giorno, c’è luce. Ma è giorno, dunque c’è luce.”
- Modus tollens: “Se è giorno, c’è luce. Ma non c’è luce, dunque non è giorno.”
- Negazione dell’antecedente: “Se non è giorno, è notte. Ma è giorno, dunque non è notte.”
- Affermazione dello scopo: “O è giorno o è notte. Ma è giorno, dunque non è notte.”
- Sillogismo disgiuntivo: “O è giorno o è notte. Ma non è notte, dunque è giorno.”
La validità e la verità dei ragionamenti
Sebbene questi tipi di ragionamenti siano sempre validi dal punto di vista della loro struttura logica, la loro verità è condizionata dalla corretta interpretazione e dalla conferma basata sui dati di fatto. In altre parole, un ragionamento può essere concludente, ossia strutturato correttamente, ma non necessariamente vero, poiché la verità è determinata dalla corrispondenza con la realtà effettiva. Di conseguenza, emerge una delicatezza nel bilanciare la validità formale con la veridicità sostanziale, sottolineando l’importanza di una rigorosa verifica empirica nel processo di ragionamento stoico.